Dopo bel Il barbiere di Siviglia dell'autunno scorso, ecco di nuovo a braccetto RAI Cultura ed Opera di Roma nel varare un'altra operazione affidata al direttore Daniele Gatti ed al regista Mario Martone. E' La traviata di Verdi registrata in più tranches lo scorso febbraio, e trasmessa in prima serata da RAI 3 venerdì scorso. Apparizione seguita da un milione quasi di spettatori, audience lusinghiera per un'operazione del genere; e segno che si potrebbe dirottare qualcosa da RAI 5, dove la lirica viene proposta alle 10 del mattino, verso un canale più frequentato ed in orari più comodi.
Non è una Traviata pensata come una messa in scena più o meno tradizionale, pur avendo modo di sfruttare insieme platea e palcoscenico, in un teatro ancora deserto e con l'orchestra in mezzo. Ma quasi un film-opera, con scene girate in più spazi del teatro – palchetti, foyers, scale, salottini – e con un paio di situazioni in esterno, non presenti nel libretto: la corsa in carrozza di Alfredo a Parigi (sul da capo della cabaletta «Oh mio rimorso») ed il fulmineo duello con Douphol. Senza voler celare, in entrambi i casi, lo sfondo delle antiche Mura Aureliane.
Spettacolo costruito con buon mestiere, ma non proprio originale, in verità; a parte il riuscito suggerimento d'un incombente senso di decadenza morale e di vuoto esistenziale, la regia di Martone – che ha curato anche le scenografie – non si discosta granché da tante altre incontrate in passato. Con la svista che il demi-monde di Violetta è affollato di avide prostitute, anziché di volubili mantenute d'alto bordo. Il montaggio poi, è una sciagura: uno spezzatino d'opera, che del capolavoro verdiano ha solo l'odore, non il sapore; e la mancata scansione nei tre atti lo avvicina ad un pasticcio colloso. Sfarzosi, ma nondimeno calligrafici gli abiti di Laura Biagiotti.
Arduo valutare la concertazione di Gatti
Va da sé che a queste condizioni è impresa ardua lanciarsi in valutazione della direzione di Daniele Gatti, alla guida dell'orchestra capitolina. I due Preludi – unici momenti interamente lasciati ai soli strumenti - sono stati ricamati con eleganza, come era lecito attendersi; per il resto, considerato che spesso il maestro milanese era costretto a scapicollarsi per seguire il vagabondare dei personaggi in sala, che ha dovuto lavorare a spizzichi, che alcuni momenti – anche importanti - sono stati ripresi senza contatto visivo, che tantissime scene sono state smembrate e poi rimontate, c'è da dire solo i tempi erano scanditi con buonsenso, l'insieme ha retto la prova e l'orchestra non ha mostrato alcuna defaillance. Ma questo, per noi, non è vero concertare. E neppure vero teatro.
Dalla Louisiana all'Europa, una carriera in crescendo
Lisette Oropesa ci sembra un soprano forse un po' sopravvalutato. Cantante-attrice di grande levatura, non v'è dubbio, dal forte temperamento e dalla notevole presenza scenica. Ma in questa sua Violetta la voce non sempre possiede il peso necessario, e non sempre tira fuori i giusti accenti. Tutto l'atto primo vacilla sotto un fastidioso tremolio, nella voce non sentiamo né spessore, né brillantezza: poco, dunque, affiora della spensierata demi-mondaine. Andando avanti l'emissione la sorregge assai meglio, grazie anche ad un accorto gioco dei colori, alla ricchezza di armonici, alla brunitura vellutata: doti utili a porre in risalto la valenza tragica del personaggio. In più, la rilevante indole recitativa prende il sopravvento e lo fa decollare appieno.
L'Alfredo di Saimir Pirgu è vocalmente ineccepibile:statura tenorile adeguata, timbro solare, acuti facili e limpidi, fraseggio pulito; tuttavia come figura in sé resta nel vago, difetta di vero carattere, e di incisività. Qualità che invece non difetta a Roberto Frontali, il cui Germont spicca fondendo insieme nobiltà di linea vocale e recitazione intensa, ancorché ben dosata: basti vedere l'ammiccare degli eloquenti sguardi rivolti nel duetto con Violetta.
Buoni attori, buoni cantanti
Ci pare che la scelta dei comprimari sia stata compiuta con intelligenza, sfruttandone bene l'artificio scenico. A parte Anastasia Boldyreva nei panni di Flora e Roberto Accurso in quelli del Barone Douphol, gli altri vengono dalle aule di “Fabbrica”, cioè lo Young Artist Program dell’Opera di Roma: sono Angela Schisano (Annina), Arturo Espinosa (D’Obigny) e Rodrigo Ortiz (Gastone), Andrii Ganchuk (Grenvil); il Coro è diretto da Roberto Gabbiani.
Il Corpo di ballo romano, diretto da Eleonora Abbagnano, si muove su coreografie di Michela Lucenti.