Tre titoli d'opera di qui a fine novembre: Dido & Aeneas, Werther e, per cominciare, La traviata. Questa – concertistica e danza a parte – è la proposta del Teatro Comunale Pavarotti di Modena fra ottobre e novembre. Non è poco, visti i tempi. Tre sono le recite del capolavoro verdiano.
Tenendo conto delle limitazioni da Covid -19, il pubblico di una normale rappresentazione è spalmato in due serate ed una matinée. Resta affacciato sui palchi, mentre l'orchestra è disposta tra sala e palcoscenico, gli interpreti al centro della platea, i componenti del coro tutto intorno, a distanza di sicurezza. Una bella sfida, in controtendenza al dilagare di opere in forma di concerto pure alla Scala.
Lo spazio della sala modenese è stato ripensato da Stefano Monti: scenografia e costumi – che spostano l'epoca di poco, ai primi '900 – sono suoi, al pari della saggia regia. Le luci che lo attraversano, invece, sono di Marcello Marchi. Facendo di necessità virtù, il regista modenese imposta una Traviata dai tratti essenziali, non troppo lontana dalla forma scenica di rito, molto ben riuscita. L'andamento è vivace, le scelte visive ortodosse, ben focalizzata la completezza recitativa d'ognuno. Anche se baci ed abbracci, ovviamente, non son permessi.
Amore a distanza di sicurezza
Ne trae vantaggio, ad esempio, la Violetta del soprano Maria Mudryak, che risulta estremamente aderente al personaggio. All'indubbia bellezza ed alla freschezza fisica si accompagna un sapiente gioco di sfumature psicologiche; ed il distanziamento obbligato dagli altri personaggi, sottolineato dalla regia, accentua ancor più una dolente solitudine. Il timbro non è purissimo, magari; però la voce di per sé ha attraenti inflessioni, ed emana forte comunicativa. La tecnica è in genere visibilmente curata, seppure mostri qualche smagliatura: le note acrobatiche di «Sempre libera» le sfuggono un po' di mano, ma nel resto appare interprete seducente, per peso e spessore infusi nei passi più drammatici, e specie nel toccante, concitato «Addio del passato».
Assai saldo in scena appare nondimeno pure l'Alfredo di Matteo Lippi: molto musicale, molto lirico nell'accento, agile nel fraseggio e nelle modulazioni; un Alfredo baldanzoso, sostenuto da una vocalità di lucido metallo, prodiga nel volume e negli acuti. Entra in scena Ernesto Petti, e facciamo terno secco. Perché il giovane baritono campano delinea un Germont padre di grande signorilità, ben piantato nell'emissione, dal timbro e dal fraseggio accattivanti; e per di più estremamente attento alle gradazioni di tinte, al senso ed all'effetto delle parole pronunciate.
Un cast ed un direttore funzionali
La brava Ana Victoria Pitts (Flora), Lucia Paffi (Annina) Antonio Mandrillo (Gastone), Daniel Kim (Douphol), Alex Martini, Francesco Leone (Grenvil) danno vita al comprimariato. Il Coro Lirico di Modena, preparato da Stefano Colò, svolge con attenzione il suo compito. Tanto più che le frugali epperò funzionali coreografie di Tony Contartese, nel salotto chez Flora, puntano più che altro sui suoi componenti.
Resta da commentare la prestazione dell'Orchestra Filarmonica Italiana e di chi la dirige, vale a dire Alessandro D'Agostini. La prima si comporta benissimo, precisione e nitore non le difettano. Il secondo offre una prestazione ragguardevole: asseconda con attenzione il lavoro dei cantanti (e lascia a Violetta l'integrità delle sue arie); i ritmi adeguati, il suono strumentale sempre accurato, con grande ampiezza di dinamiche e bella varietà di colori, anche nei due intensi Preludi. L'impressione è di una non comune leggerezza e levigatezza generali, in un clima di lirica, sentita partecipazione emotiva. Che non è poco.
Segnaliamo che lo spettacolo è disponibile in streaming, per qualche mese, grazie al sito regionale di Opera Live.