Lirica
LA TRAVIATA

Una Traviata allestita a tempo di record

Una Traviata allestita a tempo di record

Doveva essere Aida, e invece è stata La traviata: il Verdi delle opere più popolari ed amate, comunque. Per chiudere a fine anno la stagione lirica 2015 del teatro padovano a lui intitolato, era stata a suo tempo annunciata l'Aida nell'arcinoto allestimento zeffirelliano risalente all'anno verdiano 2001, ripreso da Stefano Trespidi e già andato in scena nell'ottobre scorso al Sociale di Rovigo; inaspettati tagli dei finanziamenti regionali hanno però comportato la rinuncia ad esso ed a tutto il cast già arruolato, per ripiegare su una Traviata tutta confezionata in casa e peraltro differente da quelle presentate appena tre anni fa da Hugo De Ana, e nel 2008 da Denis Krief. Scelta ritenuta evidentemente meno dispendiosa recuperando per l'occasione, con gli opportuni adattamenti, l'agile impianto girevole già utilizzato qui da Stefano Poda per un Rigoletto di cinque anni fa. Deus ex machina dell'operazione, guarda caso, era il suo assistente Paolo Giani Cei, il quale si è preso carico di tutto quanto necessario - regia, scene, costumi e luci - costruendo uno spettacolo essenziale e  drammaturgicamente razionale, ed innescando un racconto lineare che tira dritto alla meta, senza sbandamenti. In un generale predominio di severo bianco/nero, sobri abiti di taglio contemporaneo e pochi oggetti d'arredo traspongono subito la vicenda ai giorni nostri; le scene delle feste vengono collocate su una nera, larga gradinata, incorniciate da due colonne classiche dello stesso colore; luci fredde, quasi spioventi, suggeriscono l'idea di emozioni come cristallizzate: la stessa algida sensazione trasmessa allo spettatore dagli aliti di vento che agitano ininterrottamente le altissime tende della casa di campagna. Ed i palloncini rossi, con i quali Violetta si trastulla nel suo sogno d'amore al primo atto, si trasformano alla fine in altrettanti neri indizi di lutto quando essa muore in una stanza nuda, circondata da tappezzerie ridotte ormai a brandelli, così come lacerata è la sua esistenza. Coerenti a questa visione sono quindi le geometriche coreografie di Nicoletta Cabassi, danzate nel salone di Flora da eleganti ballerini in spoglia seminudità: si evita così il rituale ondeggiare dei ventagli da gitana, ed il solito luccichio dei traje de luces indossati dai matadores.
Le esigue prove messe a disposizione son bastate al trentenne maestro Eduardo Strausser - brasiliano ma di lontana ascendenza romena, e da poco direttore stabile al Theatro Municipal de São Paulo - per montare insieme all'Orchestra Filarmonia Veneta una lettura pulsante della partitura verdiana, resa con soddisfacente precisione, tempi sempre adeguati, piacevole cantabilità generale; e portata avanti con vigile e costante attenzione ad un palcoscenico puntellato a dovere in ogni frangente. Da Oltre Oceano proviene pure anche il soprano messicano Maria Katzarava (il nome denuncia le origini georgiane della famiglia), la quale si sta pian piano costruendo una carriera italiana: in questo 2015, infatti, è stata Antonia, Giulietta e Stella ne Les contes d'Hoffann per il circuito emiliano, Micaëla al Carlo Felice di Genova, Liù all'Opera di Roma. La sua Violetta avrebbe basi solide nella bella patina di voce, dal timbro piacevolmente virante al brunito, nella consistente padronanza scenica e nella buona capacità di dare forza e colorare le frasi: nulla da eccepire, quanto a resa scenica di un problematico personaggio peraltro già affrontato a Ginevra e Città del Messico. Ma nulla di veramente travolgente, almeno per ora, emerge da un'interpretazione che si colloca più o meno nella media. E quello che sembra da sistemare, peraltro, è a mio parere tutto il registro acuto: che falla in luminosità e chiarezza, e qualche volta perde di potenza e quasi si spegne in un sussurro. Con queste non buone premesse, la sua Violetta si muove con disinvoltura nel serrato dialogo con papà Germont, o nel drammatico finale risolto con buona intensità di colori (commovente, ad esempio, il soffio disperato di «Prendi: quest'è l'immagine»); ma l'arduo primo atto, che viene concluso da Verdi dapprima con i tumulti pensosi di «E' strano! È strano...»  e poi con le parole frivole, e le cristalline agilità di «Sempre libera degg'io», non direi che con lei sia memorabile. Quanto a Paolo Fanale, ha colto questa occasione di fine anno per debuttare in quel ruolo di Alfredo ancor mancante nel suo carnet tenorile; ma non mi pare che l'operazione sia andata in porto, poiché questi panni non mi pare gli si addicano granché. La voce, di per sé non grandissima né molto luminosa, non possiede infatti lo slancio, e lo spessore necessari; né gli riesce di recuperare tutte quelle mezze tinte, e quell'opportuna incisività occorrenti ad un profilo a più sfaccettature. Di modo che questo resta in mezzo ad un faticoso guado, del tutto incolore sia sul versante interpretativo che su quello puramente musicale; e neppure può aiutarlo – lasciatemelo dire – un'inutile esibizione di bicipiti palestrati. Il Germont padre di Franco Vassallo – pur spianando, a quanto mi è parso di sentire, più d'uno dei segni d'espressione sparsi a piene mani da Verdi – riesce a cogliere comunque le opportune sfumature psicologiche, quelle non piccole cose che permettono di costruire una figura ben ritta in scena, in bilico com'è tra opportunismo da benpensante e ansiosa responsabilità genitoriale. Questo anche perché la vocalità del baritono milanese è solida in ogni registro, e piacevole ne è il colore; mentre le due arie del II atto sono cantate con convinzione, cabaletta «No, non udrai» compresa. Nelle parti minori, ottimi l'Annetta di Giovanna Donadini ed il Douphol di William Corrò, ordinaria routine negli altri: la Flora di Alice Marini.il Gastone di Rodrigo Trasino, il Grenvil di Gianluca Lentini, il Giuseppe di Antonio Vitali, il domestico di Mirko Quarello, il Commissionario di Federico Cavarzan. A modo, nell'insieme, la prestazione del Coro Li.Ve. diretto da Dino Zambello.
Teatro Verdi molto affollato, pubblico palesemente entusiasta dello spettacolo e pronto a dispensare generosi applausi finali (ed anche troppi ed inopportuni, in verità, nel corso dell'opera).
(Foto Giuliano Ghiraldini)

Visto il 27-12-2015
al Verdi di Padova (PD)