Prima sfortunata per La traviata areniana di Hugo de Ana: due sospensioni per maltempo e recita interrotta definitivamente al termine del secondo atto a causa di uno scroscio maggiormente corposo che ha impedito del tutto la ripresa della rappresentazione.
Quello di Hugo de Ana è uno spettacolo ormai più che rodato, che presenta sì svariati punti di fascino ma anche alcune scelte meno felici, soprattutto nel focalizzarsi costante della regia sui rapporti tesi, quasi violenti, che intercorrono fra i protagonisti, i quali si destreggiano in scena con gesti caricati, talvolta un poco sopra le righe. Belli e curatissimi i costumi, con qualche caduta di tono: decisamente esuberanti ad esempio quelli delle zingarelle, il cui richiamarsi all’abbigliamento delle ballerine di can-can è fin troppo plateale, così come la guepiere di Violetta a righe bianche e nere verticali che rende la protagonista un poco goffa.
Sul palcoscenico grandi cornici dorate, più o meno lavorate: una grande centrale, perno dell’azione, e due laterali in cui si affollano maggiormente comparse e coristi. Pochi gli arredi scenici, qualche mobile, enormi locandine, un drappo floreale per l’inizio del secondo atto a richiamare il giardino. Al termine del primo, invece, la cornice centrale, il cui margine superiore si appoggia alle gradinate dell’anfiteatro, si innalza lentamente mentre Violetta, su di essa seduta, canta il suo “Sempre libera”.
Belle dinamiche e lettura attenta ai dettagli per Jader Bignamini: la tensione musicale e l’amalgama orchestrale non risultano sempre costanti, ma il risultato è complessivamente più che apprezzabile all’interno di uno spettacolo purtroppo caratterizzato da una generale freddezza interpretativa.
Nino Machaidze è una Violetta credibile di ottima presenza, la voce è corposa, piacevolmente scura, ben proiettata; l’interpretazione punta a sottolineare il lato emotivo e passionale del personaggio, senza trascurare il peso dei ricordi che ne segnano l’agire. Canto un po’ troppo di forza per Francesco Demuro nei panni di un Alfredo con qualche difficoltà nei passaggi di registro e dall’acuto eccessivamente spinto. Gabriele Viviani è un Germont corretto ma piuttosto algido; l’emissione è comunque solida e il timbro piacevolmente brunito. Clarissa Leonardi è una Flora apprezzabile e Madina Karbeli una corretta Annina. Con loro il Gastone di Paolo Antognetti, il Barone Douphol di Alessio Verna, il Marchese d’Obigny di Romano Dal Zovo, il Dottor Grenvil di Paolo Battaglia, il Giuseppe di Cristiano Olivieri e infine il Domestico/Commissionario di Victor Garcia Sierra.
Abbastanza accurato, ma almeno apparentemente poco coinvolto e partecipativo il Corodell’Arena di Verona. Anfiteatro letteralmente gremito di spettatori in gran parte germanofoni che, non meno della componente italica, si sono mostrati a tratti più coinvolti nelle vicende calcistiche degli europei che non in quelle che venivano messe in scena di fronte ai loro occhi da uno spettacolo che ha comunque ricevuto un profluvio di applausi, anche se non sempre nei momenti più consueti.