Lirica
LA TRAVIATA

VIOLETTA IN CORNICE

VIOLETTA IN CORNICE

Torna all'Arena la “Traviata delle cornici” (regia, scene, costumi e luci di Hugo De Ana) che aveva inaugurato il festival due anni fa alla presenza di Giorgio Napolitano.
Grandi cornici sono presenti sul palco e appoggiate alle gradinate ad isolare gli spazi in cui si svolgono le azioni. Cornici dorate, ottocentesche nelle linee Impero, tranne una che si concede un vezzo barocco con un'ala di intaglio sontuoso. Una cornice enorme circonda il palco centrale, altre due di dimensioni inferiori ai lati riservate alle controscene e ai coristi. Dentro la cornice principale oggetti vari, da quanto necessario al plot ai bauli stile Louis Vuitton, da fogli di spartiti alla locandina della prima Traviata veneziana; nel terzo atto lo spazio è riempito, come per una sorta di horror vacui. Abat-jour scandiscono il salire delle gradinate sul fondo, dalle quali si sprigionano spruzzi di coriandoli durante la festa a casa di Flora. Nel secondo atto un telo di stoffa bordato e raffigurante un fiore crea l'illusione del paesaggio di campagna.

Durante l'ouverture figure vestite di nero si aggirano come se fosse in corso un'asta, visionando oggetti pignorati e spostando tele con su raffigurati frammenti della “Margherita Gauthier” di Eugenio Scomparini esposta al museo Revoltella di Trieste. Il dipinto di Scomparini è del 1890, epoca in cui i costumi (dai colori vistosi) situano l'azione. La regia sottolinea i rapporti tesi, a volte violenti, tra i protagonisti, che culminano con il linciaggio di Alfredo dopo l'affronto a Violetta alla fine del secondo atto. Una connotazione di violenza è presente fin dall'inizio (le coriste hanno fruste in mano) e nel comportamento di Giorgio Germont. Violetta rimane in guepiere sul finale del primo atto, mentre la cornice su cui ella è seduta la solleva a notevole altezza con le gambe che svolazzano nel vuoto. Durante “De' miei bollenti spiriti” Alfredo gioca con una racchetta da tennis e scaglia la palla contro il fondale. Nel finale tornano le figure nerovestite, che rivelano essere dei Pierrot con maschere di morte per il carnevale che impazza fuori. Violetta muore sopra il coperchio di un baule, trattata come una bambola di pezza che non serve più.

Andrea Battistoni dirige l'orchestra con il piglio originale che gli è proprio, sottolineando alcuni momenti con evidenti tempi larghi che consentono amalgama ed equilibrio nel suono; non sempre perfetto l'appiombo buca palco.

Lana Kos è una Violetta volitiva e decisa; la voce non è grande ma è perfetta per il ruolo e, se le agilità non sono cristalline, si sono particolarmente apprezzate l'interpretazione e le mezzevoci in una prestazione che è cresciuta di intensità nel corso della recita. John Osborn è un Alfredo straordinario, la tecnica è impeccabile e la voce non teme le salite verso l'acuto ma non trascura di indagare ogni colore dei momenti drammatici nel suo inesausto indagare tutti i risvolti del ruolo con ottimi risultati. Roberto Frontali è un Germont generico, seppur corretto, privo di sfumature e improntato all'arrabbiato. Appropriati il Gastone di Carlo Bosi, il Barone di Nicolò Ceriani, il Marchese di Paolo Orecchia, il Dottore di Gianluca Breda e l'Annina di Teona Dvali; esuberante e vistosa la Flora di Sanja Anastasia. Con loro Antonio Feltracco (Giuseppe) e Andrea Cortese nella doppia veste di domestico e commissionario. Il coro, preparato da Armando Tasso, è disposto ai due lati estremi del palcoscenico, il che crea un'eco in ritardo, particolarmente evidente nel secondo atto in casa di Flora. Le coreografie di Leda Lojodice sono state realizzate dal corpo di ballo dell'Arena diretto da Maria Grazia Garofoli.

Pubblico numeroso, grande successo per tutti.

Visto il
al Arena di Verona (VR)