Penultimo titolo della stagione lirica 2012 del teatro Comunale di Modena, una Traviata, che torna dopo vent’anni, completamente nuova, in un allestimento del teatro modenese in coproduzione con Piacenza e Bolzano. L’allestimento è stato curato dalla regista Rosetta Cucchi, già nota al pubblico emiliano per avere curato la regia di Sweeney Todd nel 2009.
La Cucchi attualizza l’opera verdiana in uno spazio senza tempo che, partendo dalle pagine di Dumas, si concentra sull’universo interiore dei personaggi, raccontati nella loro dimensione psicologica, sentimentale e sociale, riconoscendo in questa visione la novità con cui la musica e il teatro romantico verdiano si imponeva a metà Ottocento con bruciante attualità. La Cucchi ha voluto inasprire il sentimento di solitudine della protagonista che, come una bambola tirata dai fili di un destino da lei stessa scelto, sfiora continuamente nella vita una moltitudine di anime senza mai incontrarle veramente, fino a quando un uomo riesce a toccarla, a entrare nella sua scatola, a insinuare in lei il sospetto che da quel luogo dell’anima si possa uscire con le proprie forze, beffando il destino. Violetta proverà quindi a strappare quei fili che la muovono, ma alla fine tornerà ad essere una delle tante storie di donne umiliate dall’indifferenza del comune senso del pudore di una società benpensante.
Questo senso di intima solitudine si presenta già nel prologo a scena aperta, dove in un gioco di ombre cinesi si percepisce che la protagonista non riesce ad avvicinare nessuno: tutti spariscono prima che lei li tocchi. La scena di Tiziano Santi è una struttura fissa, a forma di arena a tre piani, sulla quale si fissa il coro e che rimane per tutti i tre atti come contorno alla vicenda che si svolge al centro, dove per lo più rimane una Violetta sola isolata dalla moltitudine o dagli altri protagonisti. Tutta l’opera si tinge di due colori: il bianco di Violetta e il nero degli altri personaggi. L’unica tinta diversa in questa bicromia è l’abito di Flora: un frac maschile con tanto di tuba, verde smeraldo.
Il secondo atto, certamente il meglio riuscito, si apre con dei colori di sfondo cerulei molto belli e intensi, che danno l’idea del cielo prima di un temporale. Ovviamente tutto spoglio – come nel primo atto – eccezione fatta per il piccolo scrittoio in cui è assisa Violetta e un albero immenso capovolto che pende in mezzo alla scena, sotto quest’albero mentre cadono le foglie (troppe!) la protagonista e Alfredo cantano il famoso duetto. In quest’atto l’atteggiamento voluto dare registicamente ad Alfredo ci è parso troppo isterico e innaturale.
La scena della festa a casa di Flora vede tutto i coristi in mezzo all’arena intorno a un tavolo da gioco ricolmo di denaro, dove immobili cantano il coro delle zingarelle e dei matador mentre ballerini ballano sul tavolo danze molto travolgenti in cui la donna viene ridotta ad un mero oggetto sessuale e di possesso. Torna il tema dell’albero, questa volta spoglio, che via via diventa una prigione per Violetta. L’ultimo atto si svolge, infine, nel vuoto più totale, il letto di Violetta pare un enorme fiore nero che si alza, permettendo alla protagonista di cantare rivolta al pubblico e su questo fiore, che impedisce agli altri cantanti di avvicinarsi, muore.
Complessivamente discreto il cast, anche se molto eterogeneo. Nel ruolo della protagonista Irina Lungu, voce bella e sicura, non eccessivamente voluminosa, ma a cui è riuscita a dare un’ottima forza espressiva e tranquillità tecnica, soprattutto a partire dal secondo atto; si è dimostrata una Violetta affascinante, all’altezza della prova e scenicamente dotata. Il tenore Giuseppe Varano, nel ruolo di Alfredo, non ha pienamente convinto; la voce tendenzialmente chiusa e la disposizione scenica non gli hanno permesso di essere un Alfredo pienamente credibile. La sostituzione di Carlo Bergasa, in Giorgio Germont, con Simone Piazzola, si è rivelata una piacevole sorpresa: Piazzola ha una bella voce calda e rotonda, acuti ponderati e nitidi, bassi chiari e profondi, un’ottima presenza scenica che ne hanno fatto un Germont vero ed efficace, particolarmente gradito al pubblico. Ricordiamo i tanti comprimari, tra cui emerge Matteo Ferrara nel Barone Duphol; Milena Josipovic (Flora), Paola Santucci (annina), Valdis Jansons (Obigny), Stefano Consolini (Gastone), Daniele Cusari (Grenvil), Marco Gaspari (Giuseppe), Stefano Cescatti (Domestico).
Alla guida dell’Orchestra regionale dell’Emilia e Romagna il maestro Pietro Rizzo ha dato una lettura non sempre perfetta, ma nel solco della tradizione verdiana. Bravo il Coro Lirico Amadeus della Fondazione Teatro Comunale di Modena, preparato da Stefano Colò, anche se alcune scelte registiche ne sacrificavano le potenzialità. Molto bravi i ballerini della Compagnia Artemis Danza, anche se i movimenti coreografici di Monica Casadei sono parsi troppo invasivi.
Tutto esaurito al Comunale per questa Traviata, titolo che non poteva non riempire il teatro, ma il pubblico non ha approvato le scelte registiche e qualche cantante.
In occasione di Traviata, è stato prodotto il terzo numero della collana “Lirica a Strisce” ideata e curata dalla Fondazione Teatro Comunale di Modena. Il fumetto, come nelle precedenti occasioni, è un’occasione per osservare e recepire l’opera attraverso linguaggi alternativi legati alla contemporaneità, attingendo potenzialmente a un pubblico nuovo o risvegliando un rinnovato interesse. I numeri precedenti sono stati dedicati a Macbeth di Verdi e a Roméo e Juliette di Gounod.