Non vi è dubbio che, quando Verdi, nel 1853, decise di mettere in scena La traviata operò una rivoluzione significativa nell'ambito del melodramma; egli, infatti, ricavò il soggetto da un fatto di cronaca a lui contemporaneo già affrontato da Alexandre Dumas figlio ne La Signora delle camelie. La scelta, non usuale, di realizzare un dramma borghese con un'ambientazione nella Parigi di metà '800, affrontando una tematica molto forte seppure stemperata dal fasto di un mondo elegante, risultò agli occhi del pubblico piuttosto sgradevole; riprova di questo è la cattiva accoglienza che l'opera ebbe alla sua prima rappresentazione al teatro La Fenice di Venezia.
Scopo dichiarato di Andrea Cigni, regista dello spettacolo, è recuperare un po' di quella “sgradevolezza” originaria, senza quindi edulcorare in alcun modo la figura di una prostituta che, per amore, è sì capace di riscatto, ma che risulta anche inserita in un mondo vuoto, crudele e voyeurista. A tal fine, all'interno di un allestimento tutto sommato tradizionale, seppur minimalista per quanto concerne ambienti e arredi, il regista ricorre ad alcuni espedienti, come ad esempio il bacio saffico fra Violetta e Flora alla fine del primo atto e la rappresentazione sessualmente esplicita del ballo fra le zingarelle e i toreri, cui il coro prende parte in guisa quasi di moderno spettatore di lap dance. Quelli però che, nelle intenzioni iniziali, intendevano essere elementi innovativi, nella realtà finiscono per apparire un po' posticci nell'economia dello spettacolo e danno in ogni caso un'impressione di déjà vu.
Il sipario si alza su una Violetta in rosso, colpita da un raggio di luce, in una sala spoglia, piena solo di sedie trasparenti: è appena stata pagata da un uomo. Dal fondo sopraggiunge una figura scura, pallida in volto, simbolo della morte imminente che, abbracciandola, le appunta un fiore bianco al petto. Di colpo la scena si anima e si illumina: inizia la festa. Entrano gli ospiti, tutti abbigliati in nero con tocchi vermigli, portando con sé un Alfredo bendato; dall'alto viene calato un lampadario rosso.
I muri del palazzo si alzano poi nel secondo atto e su di essi viene proiettata l'immagine di un cielo con nuvole: a terra un tappeto di fiori e poche sedie. Curiosa l'ambientazione della festa di Flora: un salone fumoso con al centro una pedana sovrastata da un lampadario anni '60. Tutto pare richiamare una bisca clandestina avvolta e dominata dal colore verde delle luci. Unica concessione all'arredamento le onnipresenti sedie trasparenti, probabilmente simbolo della vacuità di quel mondo, cui si aggiungono, sempre a simboleggiare la falsità, le maschere indossate dagli astanti.
Il sipario per l'ultima volta si apre su un ambiente più ristretto: le sedie sono ricoperte da teli di plastica e il lampadario rosso del primo atto è appoggiato per terra. A sottolineare l'estrema povertà di Violetta entra, durante il duetto “Parigi, o cara”, un ufficiale giudiziario con alcuni facchini; egli fa spegnere le luci del lampadario e porta via con sé tutti gli arredi ad eccezione di una sedia nera riscattata da Annina. Violetta muore a terra.
Scenicamente efficace e convincente la Violetta di Yolanda Auyanet che, nonostante il bel colore, a causa di qualche difficoltà nel passaggio al registro acuto ha evidenziato una certa tendenza a forzare la voce. Buona timbrica, ma con qualche incertezza nell'emissione ed un vibrato poco piacevole, anche per Jean François Borras nei panni di Alfredo. La parte di Giorgio Germont è stata sostenuta, in sostituzione di Damiano Salerno impossibilitato a causa di una indisposizione, da Giuseppe Altomare che ha mostrato di possedere un bel timbro scuro: egli è solido nelle emissioni a pieno fiato, ma ha la tendenza a sparire nelle mezze voci. Con loro Marianna Vinci (Flora), Mila Pavlova (Annina), Saverio Pugliese (Gastone), Mirko Quarello (il barone Douphol), Pasquale Amato (il marchese D'Obligny), Luciano Leoni (il dottor Grenvill), Alessandro Mundula (Giuseppe), Marco Piretta (Commissario).
Buona, sia dal punto di vista attoriale sia dal punto di vista vocale di insieme, la prova del coro del Circuito Lirico Lombardo, preparato dal maestro Antonio Greco; brillante l'esecuzione dell'orchestra dei Pomeriggi Musicali, diretta dal maestro Pietro Mianiti, che ha saputo ben valorizzare l'ottimo amalgama dei musicisti.
Teatro gremito, grande successo di pubblico con applausi scroscianti durante e soprattutto alla fine della rappresentazione.