La variante di Lüneburg è prima di tutto un fortunato romanzo del goriziano Paolo Maurensig, pubblicato da Adelphi nel 1993, caso letterario dell'anno, nel quale la metafora del gioco degli scacchi come combattimento trova nei campi di sterminio nazisti una controparte tragicamente concreta. Un romanzo, diventato in breve tempo un best seller internazionale, dagli inediti toni mitteleuropei per l'Italia con chiari riferimenti all'opera di Nabokov, Zweig, Borges e Conrad, apprezzato tanto per l'insolito connubio quanto per i livelli narrativi che vi si intrecciano, pur con qualche disinvoltura, come lo slittamento dell'io narrante da onnisciente a uno dei personaggi (come fa Tabori a descrivere le espressioni degli altri personaggi nello scompartimento del treno se egli non è fisicamente presente ?).
Quando Walter Mramor propone a Maurensig di portare a Teatro quel suo primo romanzo lo scrittore diffida di una riduzione teatrale, notoriamente più limitata di quella cinematografica come afferma egli stesso nella brochure dello spettacolo.
Non sappiamo a quali limiti maggiori del teatro si riferisca Maurensig quando casomai è esattamente il contrario, con la sua vocazione al racconto realistico il cinema è meno versatile del teatro nel trasformare in scene i commenti, i salti narrativi e le atmosfere dei romanzi, compreso questo, mentre il teatro, basato su una evocazione scenica simbolica e tutt'altro che concreta, ha più, se non facilità, duttilità nel riportare la pagina scritta.
Maurensing si lascia comunque convincere e riduce il romanzo per la scena scrivendo ad hoc i testi delle 10 canzoni inedite previste dallo spettacolo.
La variante di Lüneburg è unico nel suo genere perché non si accontenta della pedissequa trasposizione sulla scena di quanto raccontato dal romanzo (come avviene oggi in tante produzioni estemporanee), né usa il romanzo come fonte ispiratrice per una riscrittura scenica (come più canonicamente è accaduto in passato). Mramor adotta la strada più difficile e rischiosa dell'oratorio: una forma narrativa senza la rappresentazione scenica, mimica e senza personaggi in costume.
Mramor è la voce recitante e ripropone interi brani del romanzo in una sorta di lettura (con tanto di leggio e pagine girate) che è in realtà un espediente narrativo, spesso infatti si allontana dal leggio e raggiungere il boccascena per recitare un inciso, rendere un cambio di prospettiva o del ritmo narrativo del romanzo.
Sul palco, assieme a lui, il maestro Valter Sivilotti autore delle musiche, che ha l'arduo compito di eseguire la complessa partitura musicale al piano (con l'ausilio delle tastiere e di un pc per qualche misurato effetto sonoro) che prevede oltre alle esecuzioni al pianoforte delle parti recitate da Mramor (con gli splendidi contrappunti di Marco Labonetti al sax e del soprano Franca Drioli) anche l'esecuzione delle canzoni interpretate da Milva e dal coro da lui diretto (un coro diverso per ogni piazza in cui lo spettacolo viene rappresentato i modo che ogni città vede uno spettacolo unico e per la parte fissa dell'organico un continuo lavoro di messa a punto con i nuovi arrivati).
Uno spettacolo sulla carta difficile, ardito, forse anche presuntuoso che si rivela una macchina drammaturgica perfetta.
Mramor è di una intensità sorprendente non solo per le sue squisite capacità interpretative (mai eccessivo eppure di un'intensità esemplare) ma per l'umanità con cui si mette in gioco durante lo spettacolo passando da un personaggio all'altro, da una vita all'altra (così l'emozione che lo coglie subito dopo la fine dello spettacolo, durante i ringraziamenti, che non lo fa parlare per qualche secondo, la gola stretta dalla commozione, non è il segno di una debolezza dell'interprete ma della grandezza d'animo dell'essere umano).
D'altronde è la stessa commozione che prova il pubblico in sala, che ha avuto la fortuna di assistere a un racconto che parte in sordina come storia di una passione maniaca per il gioco degli scacchi e diventa ben presto l'indicibile orrore del comportamento umano che, in nome di una assurda pretesa superiorità, si sente in diritto di discriminare, di umiliare, di zittire, di torturare, di uccidere.
Milva è in una forma grandiosa e raggiunge intensità inimmaginabili mentre canta brani di una tale potenza emotiva da tenere lo spettatore. col fiato sospeso. All'inizio quando si parla (e si canta) di straccioni e maestri di scacchi sembra di assistere a una recita brechtiana per la solennità con cui si narra, dopo tutto, di un semplice gioco, per quanto ammantato dal mistero della morte di uno dei personaggi. Ma quando l'argomento scivola lentamente verso questioni più universali e tragiche come la Shoah, la solennità della musica si fa improvvisamente leggerezza, speranza, tenerezza per un racconto che nulla ha di leggero o lascia possibilità di speranza alcuna.
Forse leggermente sbilanciato nella parte che racconta le partite di scacchi nel campo di concentramento, la cui posta in gioco (all'insaputa del giocatore recluso e risparmiato per la sua bravura al gioco) è la vita dei suoi co-prigionieri, sicuramente rispetto al romanzo dove ai campi di concentramento si arriva inaspettatamente nell'ultima parte, La variante di Lüneburg racconta col suo tocco leggero, una parte della nostra storia senza avere alcuna funzione celebrativa, né di memento, semplicemente dicendo un dettaglio di uno degli orrori più grandi commessi dall'uomo, orrori dei quali nessun dio che osa definirsi tale può dispensare perdono mentre, come ci hanno insegnato i sopravvissuti di quei campi, il perdono è proprio uno dei tratti che distingue le vittime dai carnefici e le rende davvero umane.
Roma, teatro Eliseo, visto il 24 maggio 2009
Visto il
al
Arena del Sole - Sala Leo de Berardinis
di Bologna
(BO)