Lirica
LA VEDOVA ALLEGRA

Genova, teatro Carlo Felice, …

Genova, teatro Carlo Felice, …
Genova, teatro Carlo Felice, “La vedova allegra” di Franz Lehàr LA VEDOVA IN CASSAFORTE Il Carlo Felice passerà nel 2010 alla programmazione ad anno solare, per cui la ministagione di questo autunno, aperta da Rigoletto, si chiude con la Vedova Allegra, dopo la prestigiosa presenza del Balletto di Cuba. Viene proposto l’allestimento di Federico Tiezzi con scene di Edoardo Sanchi e costumi di Giovanna Buzzi, prodotto a Trieste dove ha debuttato l’estate scorsa nell’ambito del 40° Festival dell’Operetta in coproduzione con il San Carlo e l'Arena di Verona (certamente per il Filarmonico). Il regista sposta in avanti la datazione, ambientando la vicenda alla fine degli anni Venti, alla vigilia del crollo delle borse e della grande depressione, ispirandosi ad atmosfere del cinema (Lubitsch e Von Strohem: Jean Harlow e Mae West sono riconoscibili in una platinatissima Hanna Glawari) e facendo del denaro il motore della vicenda, con una lettura che privilegia la componente malinconica e pessimista, forse in parallelo con la crisi economica che stiamo vivendo. La scena iniziale è ambientata nell’atrio di una banca o di un edificio pubblico dalle linee déco, come la Postsparkasse di Otto Wagner e le costruzioni di Alfred Loos: la Vedova entra in scena da una cassaforte argentea, lei che è il “tesoro” della banca nazionale pontevedrina, lei che fa impennare gli indici di borsa, lei che è la soluzione di tutti i mali finanziari del Pontevedro. Nel corso della recita piovono soldi e parte dello spettacolo è scandito dallo scorrere degli indici di borsa su supporti digitali (grafici anacronistici ma forse giustificabili come citazione della crisi contemporanea, come già nel recente Mosé in Egitto di Zurigo). Però Tiezzi, affermato regista di prosa, non sembra troppo in sintonia con il mondo dell’operetta e, al di là dell’idea iniziale, manca alla regia, se pur sobria e di buon gusto, la capacità di restituire la spontanea comunicativa ed il fascino ammaliatore di un genere “leggero” che per funzionare deve essere immediato e travolgente. Si ha l’impressione che gli spunti non siano completamente sfruttati e che lo spettacolo stenti a decollare dal punto di vista sia prettamente comico che emozionale. L’impianto scenico essenziale e generico non contribuisce a restituire quella Parigi di fantasia rivista con occhi mitteleuropei che è la cifra della Vedova Allegra e il volere depurare il genere dei suoi attributi essenziali lo impoverisce senza generare nuove chiavi di lettura. In particolare non convince il sipario a mezza altezza di lamè argento utilizzato per consentire i cambi di scena, una via di mezzo fra avanspettacolo e Brecht. Pure privo di fascino il padiglione per il convegno amoroso, ricreato con decori floreali liberty su un velo trasparente come nylon. Inutili e poco comprensibili le animazioni geometriche a video in bianco e nero sul retro della scena; invece più pregnante l'idea di far sbocciare, sullo stesso schermo in retro scena, fiori colorati nel momento della canzone della Vilja, come nei titoli di testa dell'Età dell'innocenza di Scorsese. Meglio la scena da Maxim, vivace e animata, che, con la grande scala illuminata, i camerieri in giacca da camerieri e tutù da ballerine, le danzatrici di can can ed i loro colore e movimento, ricrea un’atmosfera spumeggiante ed edonista che si trasmette al pubblico in sala, il quale, conquistato, batte a tempo le mani. Silvia Dalla Benetta è una Hanna Glawari apprezzabile per la voce leggera e ben intonata dagli acuti sicuri, ma, nonostante una presenza gradevole e spigliata, non arriva a trasmettere autentica seduzione e nei momenti di effusione lirica effonde poca emozione. Con fisico da mannequin e caschetto nero alla Louise Brooks Davinia Rodriguez è una Valencienne seducente e birichina, dotata di freschezza vocale e interpretativa e capace di ballare il can can. Nel ruolo del Conte Danilo Gezim Myshketa sfoggia una voce morbida di colore gradevole, vellutata nel timbro piuttosto scuro, ma manca al personaggio la baldanza e la disinvoltura del seduttore annoiato. Non convince Davide Cicchetti, un Camille De Rossillon dallo spessore vocale e dal fraseggio insufficienti. Andrea Porta è un Barone Zeta divertente e credibile, disinvolti il Cascada di Giovanni Arcoleo ed il Kromow di Dario Giorgelè. Gennaro Cannavacciuolo è un Njegus arguto, dalla comicità leggera e misurata, che poteva essere maggiormente sfruttato. Completano il cast Alberto Profeta (Raoul de Saint–Brioche), Stefano Consolini (Bogdanowitsch) Sarah Maria Punga (Sylviane), Sara Cappellini Maggiore (Olga), Federico Benetti (Pritschitsch) e Erika Pagan (Praskowia). La direzione di Christoper Franklin non riesce a imprimere giusto brio e leggerezza all’orchestra di casa, poco abituata a questo repertorio, per cui si perdono le sfumature e la ricchezza melodica di una partitura in cui si stagliano in controluce raffinate atmosfere mitteleuropee. Troppo fragoroso e stilisticamente inadeguato il coro del Carlo Felice che penalizza, coprendo le voci, la compagnia di canto. Teatro esaurito per tutte le repliche: per far fronte alle richieste la Fondazione ha aggiunto ulteriori date alla programmazione (18 dicembre in pomeridiana e 19 dicembre in serale); grande apprezzamento da parte di un pubblico festoso e divertito: in definitiva non è questo che conta? Già resi noti i titoli della stagione prossima: molti classici amati dal grande pubblico (Nabucco, Lucia di Lammermoor, Tosca, Barbiere di Siviglia e Traviata) accanto a opere meno consuete (Tristan und Isolde), a proposte inusuali (Flauto Magico dell'Orchestra di Piazza Vittorio, l'Opera da tre soldi di Brecht e Concha Bonita di Nicola Piovani) e a balletti (Anna Karenina e Omaggio ai Ballets Russes), oltre ad una articolata stagione sinfonica. Il tutto nella speranza che il Carlo Felice esca quanto prima dalle difficoltà del commissariamento. Visto a Genova, teatro Carlo Felice, il 27 novembre 2009 FRANCESCO RAPACCIONI e ILARIA BELLINI
Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)