Lirica
LA VEDOVA ALLEGRA

Una vedova ingombrante

Una vedova ingombrante

Il Teatro Sociale di Rovigo apre la 199ª stagione lirica con un felice allestimento de La vedova allegra di Franz Lehàr e, nella decisione di rimettere in scena l’allestimento passato, contava di ripetere il successo di quattro anni fa ma i diversi posti vuoti hanno dato un’idea diversa. Indubbiamente, nonostante Hugo de Ana rimanga uno dei più apprezzati e stilisticamente eleganti registi e scenografi contemporanei, ha realizzato una Vedova allegra che non può essere allineata ad altre sue fortunate realizzazioni. Le scene, troppo grandi per il piccolo boccascena del Sociale, sono composte da una struttura girevole fatta di tralicci e materiali semiriflettenti che dovrebbero ampliare lo spazio otticamente ma che incombono sul palcoscenico in modo invadente. Molto bello l’enorme lampadario liberty che pende dal soffitto dell’ambasciata pontevedrina ma anch’esso è troppo grande. Lo Chez Maxim del terzo atto è il trionfo del kitch ma nel contesto è parso appropriato, come pure i costumi che evocano un elegante primo Novecento di maniera. Il regista ha però rimaneggiato tutta l’operetta, soprattutto nei dialoghi in prosa, aggiungendo un offenbachiano galop infernale e un’aria esterna di Lehàr e altre manipolazioni soprattutto nei dialoghi “attualizzati”, non consone certamente ad alleggerire l’operetta e a darle la dovuta collocazione. Anche certe trovate sceniche, come la trasformazione di Bogdanowitsch, Kromow e Pritschitsch nei tre fratelli Marx oppure le incursioni canore delle loro tre consorti, non ottengo l’effetto desiderato ma tendono a dare un’idea monotona di decadenza. Indubbiamente della Vedova allegra originale rimane poco ma la musica di Lehàr catapulta lo spettatore in una dimensione di Belle époque da sogno che comunque affascina.

Daniela Schillaci è una spumeggiante Hanna Glawari, di fascino notevole e voce di tutto rispetto, sonora e squillante, con ricche sfumature, sicura ed esuberante, ottima protagonista anche da un punto di vista scenico. Alessandro Safina è stato un convincente conte Danilo; alla bella presenza scenica ha unito disinvoltura canora, bella voce elegante, piena e con emissione fluida. Daniela Mazzucato è una indiscussa Valencienne: senza dubbio incarna perfettamente con disinvoltura esperienza e freschezza il personaggio della dolce ed infedele ambasciatrice. Valido il Barone Zeta di Nicolò Ceriani, dal timbro chiaro ed intenso. Tra i numerosi comprimari meritano una menzione particolare Max René Cosotti in un brillante St. Brioche, Dario Giorgelè in Cascada, il Bogdanowitsch di Matteo Ferrara, il Kromow di Giuliano Scaranello e il Pritschitsch di Stefano Consolini. Versatili e spiritose Giovanna Donadini (Olga), Elena Battaglia (Praskowia) e Annalisa Massarotto (Sylviane). Bravo l’attore e doppiatore Ugo Maria Morosi in Njegus, anche se la regia lo ha un po’ penalizzato.

Precisa, briosa e accattivante la direzione del maestro Srboljub Dinić alla guida dell’Orchestra di Padova e del Veneto. Si è notato fin da subito una mano esperta e decisa che ha saputo trascinare orchestra e cantanti ad un risultato più che convincente. Decisamente buona la prova del Coro Lirico Veneto diretto dal maestro Dino Zambello.

Visto il
al Sociale di Rovigo (RO)