Lirica
LA VEDOVA ALLEGRA

UNA VEDOVA INVECE DEL FESTIVAL

UNA VEDOVA INVECE DEL FESTIVAL

Victor Léon e Leo Stein, abili fabbricanti di perfetti meccanismi teatrali, avevano ripescato per Franz Lehár - da poco salito alla carica di direttore d'orchestra del Teatro An der Wien - una vecchia ma sempre divertente 'pochade' di Henri Meilhac intitolata "L'attachè d'ambassade", una commedia francese popolare anche nei paesi di lingua tedesca, aggiornandola furbescamente ai primi del Novecento. La storia, universalmente nota a tutti gli appassionati del genere operettistico (ma anche ad un pubblico più ampio per le varie trasposizioni cinematografiche) prende le mosse dalla rovinosa situazione economica del piccolo e spiantato stato del Pontevedro: la giovane e bella vedova Hanna Glawari ha ereditato dal vecchio marito un'immensa fortuna - praticamente tutto il capitale dello stato - custodita nei forzieri della Banca Nazionale, e si è trasferita a Parigi; solo un nuovo matrimonio con un suo connazionale potrebbe salvare il Pontevedro dalla bancarotta, facendo sì che quei milioni non escano più dal paese. Potrebbe corteggiarla l'affascinante conte Danilo Danilowitsch, scapestrato 'attaché' all'ambasciata parigina del Pontevedro: un tempo era stato fidanzato con Hanna che, da parte sua, non l'ha dimenticato…ma gli ostacoli da rimuovere non sono pochi. Il seguito è ben noto. «Lui lo vuole ma lei no, lei vuole ma lui no, i due vogliono, sipario»:sta tutto qui, ridotto ai minimi termini, lo spiritoso schema de "La vedova allegra" secondo la felice sintesi operata dal musicologo Lorenzo Arruga.
Per la fine di questo giugno, nel tabellone del Teatro Verdi era prevista la prima mondiale di un lavoro di Jack Berls e Gad Gherson, "C'est ainsi", una commedia musicale basata su un testo sinora inedito nientemeno che - udite, udite - di Luigi Pirandello (in italiano, suonerebbe "Proprio così"). Purtroppo le difficili congiunture economiche che il massimo teatro triestino - come d'altro canto quasi tutti i nostri istituti lirici - si trova ad affrontare, hanno costretto alla momentanea abdicazione: "C'est ainsi" si farà, ma quando non è dato sapere. Le brutte notizie però non finiscono qui: anche il tradizionale Festival Internazionale dell'Operetta - attesissimo appuntamento di prima estate - salta per quest'anno in attesa, si spera, di riprendere con rinnovate forze l'anno venturo. Pazienza, aspettiamo e confidiamo in Dio.
Messe le due cose insieme - cioè dovendo sostituire la novità in programma e dare un contentino agli appassionati dell'operetta rimasti a bocca asciutta - i vertici del Verdi hanno propeso per il recupero dell'allestimento de "La vedova allegra" già presentato tre anni fa in occasione del Festival dell'Operetta 2009, e che è stato visto in giro a Genova, Napoli e Verona. Allestimento non troppo sfarzoso quanto a invenzioni scenografiche, dal momento che Edoardo Sanchi suggerisce le varie ambientazioni con pochi ritocchi all'interno di una algida struttura architettonica di sapore decò: mettendo ad esempio un sipario trasparente per il chiosco del giardino, oppure grande una scritta MAXIM'S in alto e una scalinata luminosa in basso per l'ultimo quadro. La fantasia si sbriglia invece senza freno nei costumi di Giovanna Buzzi, disegnati per tutti con gran profusione di colori e con un tocco di elegante raffinatezza senza tempo negli abiti di Hanna, di Valencienne e delle altre signore. La regia di Federico Tiezzi - ripresa qui da Giulio Ciabatti - riesce a viaggiare dritta sul filo della sobrietà, scorrendo fluida e sollecitando il sorriso del pubblico con garbati accenni comici, senza mai cadere nella farsa; ma un po' di esuberanza inventiva in più non sarebbe stata un male. Stuzzicanti ed appropriate le coreografie dell'ungherese Gábor Keveházi, portate in scena dai giovanissimi ed efficienti artisti del corpo di ballo del Teatro di Pécs.
Valeria Esposito aggiunge al suo carnet di soprano più leggero che lirico - ondeggiante da Adina e Lucia, a  Lakmé ed Olympia - la figura di Hanna Glawari, con un'interpretazione garbata e spiritosa - e vocalmente pertinente - ma talora anche un po' compassata. Se la sua vedovella  non è memorabile, è perché questo ruolo richiede quel qualcosa in più - un certo brio, una luminosa malizia, una elegante nonchalance interpretativa - che in verità non scorgo nel DNA di nessuna delle cantanti di casa nostra, stilisticamente allevate per affrontare più 'seri' cimenti e non la frivolezza irresistibile dell'operetta, genere che resta per noi italiani ancora e sempre un oggetto misterioso. Accanto a lei Alessandro Safina era un Danilo ovviamente perfetto quanto a prestanza fisica, e sottilmente ironico della recitazione; anche se vocalmente non mi pare esaltante, il tenore senese riesce alla fine comunque vincente in un ruolo che per lui è congeniale, ed oramai pare una bandiera.
La fedifraga e 'cocotte' Valencienne era un'altra toscana, il soprano Alida Berti: scelta indovinata per la scintillante verve e per la grazia da soubrette; la corteggiava nei panni di Rosillon il giovane ed efficiente Marco Frusoni. Irresistibili per la simpatia emanata, come sempre, il Mirko Zeta di Marcello Lippi ed il Njegus di Gennaro Cannavacciuolo. Anna Bordignon era Sylviane, Miriam Artico Olga, Marzia Postogna Praskowia; tra gli uomini, Dario Giorgelè era Cascada, Andrea Binetti Sait-Brioche, Alessandro De Angelis Bogdanowitsch, Stefano Consolini Kromow, Federico Binetti Pritschitsch.
Antonio Pirolli, sul podio dell'orchestra di casa - compagine addestrata ad affrontare questo genere leggero - ha donato una direzione spumeggiante e sempre leggera, pervasa di garbato humour e ricca di teatralità, offrendo un sano e rilassato divertimento musicale.
Grande successo di pubblico, in una sala non proprio piena. Ad occhio e croce, si aveva l'impressione che mancassero proprio gli habitués della vicina Austria, solitamente fedeli frequentatori della sala triestina e del suo festival operettistico.

Visto il
al Verdi di Trieste (TS)