Lirica
LA VEDOVA ALLEGRA

Una vedova poco allegra

Una vedova poco allegra

Dopo un lungo viaggio, partito da Trieste e passato per Genova e Napoli, arriva a Verona la Vedova allegra di Federico Tiezzi con scene di Edoardo Sanchi e costumi di Giovanna Buzzi. La datazione viene spostata in avanti, ambientando la vicenda alla fine degli anni Venti, alla vigilia del crollo delle borse e della grande depressione, ispirandosi ad atmosfere del cinema (il caschetto nero alla Louise Brooks della protagonista) e facendo del denaro il motore della vicenda, con una lettura che privilegia la componente malinconica e pessimista.

La scena iniziale è ambientata nell’atrio di una banca o di un edificio pubblico dalle linee déco, come la Postsparkasse di Otto Wagner e le costruzioni di Alfred Loos: la Vedova entra in scena da una cassaforte argentea, lei che è il “tesoro” della banca nazionale pontevedrina, lei che fa impennare gli indici di borsa, lei che è la soluzione di tutti i mali finanziari del Pontevedro. Nel corso della recita piovono soldi e parte dello spettacolo è scandito dallo scorrere degli indici di borsa su supporti digitali.
Tiezzi, affermato regista di prosa, non sembra troppo in sintonia con il mondo dell’operetta (dove debutta) e, al di là dell’idea iniziale, manca alla regia la capacità di restituire la spontanea comunicativa ed il fascino ammaliatore di un genere “leggero” che per funzionare deve essere immediato e travolgente. Si ha l’impressione che gli spunti non siano sfruttati e che lo spettacolo stenti a decollare dal punto di vista comico ed emozionale.
L’impianto scenico essenziale e generico non contribuisce a restituire quella Parigi di fantasia rivista con occhi mitteleuropei che è la cifra della Vedova Allegra e il volere depurare il genere dei suoi attributi essenziali lo impoverisce senza generare nuove chiavi di lettura. In particolare non convince il sipario a mezza altezza di lamè argento utilizzato per consentire i cambi di scena. Pure privo di fascino il padiglione per il convegno amoroso, ricreato con decori floreali liberty su un velo trasparente come nylon. Inutili e poco comprensibili le animazioni geometriche a video sul retro della scena; invece più pregnante l'idea di far sbocciare, sullo stesso schermo in retro scena, fiori colorati nel momento della canzone della Vilja, come nei titoli di testa dell'Età dell'innocenza di Scorsese. Meglio la scena da Maxim, più vivace. E i costumi grigi non aiutano.

Patrizia Orciani debutta nel ruolo: la sua Hanna Glawari è decisa e di temperamento, la voce è sicura e una cura maggiore delle mezzevoci la porterà ad ottimi risultati. Ilaria Del Prete viene messa alle corde dal ruolo di Valencienne vocalmente e attorialmente (sarebbe stato meglio non forzarla a ballare nella scena da Maxim). Nel ruolo del Conte Danilo Armando Ariostini appare attempato e privo della giovanile baldanza del seduttore. Leggero il Camille De Rossillon di Angelo Scardina, tirato in alcuni acuti. Bruno Praticò mette la sua esperienza a servizio del Barone Zeta, cantando una canzone in napoletano che non è nella partitura. Tra le parti di contorno si sono segnalati il Cascada di Dario Giorgelè e la Praskowia dell'attrice Sara Alzetta. Con loro Saverio Bambi (St. Brioche), Alessio Colautti (Bogdanowitsch), Marzia Postogna (Sylviane), Stefano Consolini (Kromow), Ilaria Zanetti (Olga) e Giuliano Palizon (Pritschitsch). Gennaro Cannavacciuolo è un Njegus arguto, dalla comicità leggera e misurata, non abbastanza sfruttato: a lui spettano gli unici momenti di divertimento.

La direzione di Julian Kovatchev, pure corretta, non riesce a imprimere brio e leggerezza all’orchestra, per cui si perdono le sfumature e la ricchezza melodica della partitura. Il coro, preparato da Giovanni Andreoli, rimane troppo fermo in palcoscenico e vocalmente non brilla, poco in appiombo con orchestra e solisti. Il corpo di ballo, diretto da Maria Grazia Garofoli, è alle prese con le poco impegnative coreografie di Giovanni Di Cicco.

Nel programma di sala il famoso volantino contro il compositore (lanciato a Trieste nel 1907), reo di lesa maestà nei confronti di Elena del Montenegro, regina d'Italia, per l'ambientazione dell'operetta.
Poco pubblico ma caloroso.

Visto il
al Filarmonico di Verona (VR)