Siamo a Napoli, nel 1980, e Luigino Impagliazzo è un piccolo uomo, apparentemente senza qualità, che trascorre la sua vita mediocre senza un sussulto fino al giorno in cui incontra l’ammaliante Fortuna Licenziati, formosa ed irresistibile amante di un boss malavitoso. Questo l’incipit del racconto “La Venere dei Terremoti” il racconto di Manlio Santanelli messo in scena da Roberto Azzurro, attore e regista che spesso ha accostato il suo nome a quello del drammaturgo napoletano. Ed è qui la vera sorpresa di questo spettacolo, poiché, come dicevamo, per una volta in scena non è uno dei tanti drammi e commedie usciti dalla prolifica penna di Santanelli, che, lo ricordiamo, è uno degli autori italiani più celebrati e rappresentati all’estero, ma un sua opera di narrativa, ed è ancor più sorprendente accorgersi come la teatralità venga ancor più esaltata attraverso un’operazione interpretativa che, apparentemente essenziale, riesce a sondare la più nascosta delle pieghe di ogni personaggio che vive all’interno di questa straordinaria storia, in cui realtà storica e fantasia, così come ironia e dramma, eros e morte, si fondono in un variegato arcobaleno di emozioni, anche linguistiche (caratteristica essenziale della produzione di Santanelli) che Azzurro riesce a regalare al pubblico con un inevitabile consenso generale. L’attore regista si inoltra nei cunicoli della mente del protagonista, la cui soggettiva è sapientemente espressa dalle foto di Francesco Landi, proiettate, dapprima con discrezione sullo sfondo, per poi , di sovente, fondersi con l'attore, fino a diventare un tutt'uno espressivo, apporto indispensabile alla resa scenica di questo spettacolo che si andrebbe ad ascrivere al genere “teatro di narrazione” (ed in parte rispetta questa definizione) ma che è anche molto di più, grazie alle istrioniche interpretazioni di Azzurro che riesce a rendere visibili, senza supporto di trucchi e costumi, oltre 10 personaggi, con il solo uso della sua voce e del suo corpo. Risate e suspance si alternano incessantemente fino al finale drammaticamente grottesco che vede l’attore impegnato in un monologo che strappa emozione ed applausi scroscianti. “La Venere dei Terremoti” (non spieghiamo il perché di questo titolo per non privare a chi assisterà a questo gioiello teatrale il piacere di scoprirlo) è, a nostro avviso, uno spettacolo maturo e colto, intelligente ed ammaliante, come la fatale Fortuna, e ci riporta a quel tipo di teatro essenziale, ma solo apparentemente, che Roberto Azzurro da due anni ha deciso di proporre, in cui l’attore da vita alla scena con l’intrigo dell’affabulazione orale, quasi come una sorta di aedo contemporaneo, insomma, che riesce a catturare il suo pubblico con sapiente conoscenza della scena e della parola.
Prosa
LA VENERE DEI TERREMOTI
Smaniose peripezie per un amore impossibile
Visto il
30-03-2012
al
Palazzo de' Liguori
di Napoli
(NA)