Dopo il monologo "Famosa" imperniato sul transessualismo, “La vertigine del drago” è la seconda prova drammaturgica di Alessandra Mortelliti che mostra la predisposizione della giovane autrice/attrice romana per la tematica della diversità e i personaggi fragili ai margini del tessuto sociale. La supervisione del testo è stata curata da Andrea Camilleri di cui la Mortelliti è nipote.
Presentato al Festival dei due mondi di Spoleto nel 2012, lo spettacolo che vede alla sua prima regia Michele Riondino racconta la storia di Francesco (Michele Riondino) un naziskin alle prime armi ferito al fianco da un colpo di pistola sparato durante l’assalto a un campo nomadi della periferia romana. Durante i tafferugli il ragazzo, nella convinzione che gli zingari siano tutti ricchi, sequestra a fini di estorsione Mariana (Alessandra Mortelliti) zoppa ed epilettica. I due si rinchiudono in un micro mondo a forma di garage, dove sono costretti a convivenza forzata e a riscoprirsi più simili di quanto a prima vista si potrebbe immaginare.
Sul freddo pavimento di cemento dietro alla saracinesca abbassata trovano posto due puri stereotipi di un’umanità sbandata in cerca di riscatto: la nomade fragile e indifesa ma smaniosa di emancipazione interpretata in maniera convincente ma ancora un poco acerba da Alessandra Mortelliti e il giovane fascista violento e disoccupato ben sorretto dal bravo Riondino, stretto in una misura di recitazione molto fisica e a tratti visionaria.
Settanta piacevoli minuti che hanno il pregio di far riflettere e anche un po’ sorridere.