Una voce umana briosa quella in scena all'Abarico. Sì, briosa, avete letto bene, perchè il regista Rosario Tronnolone ha pensato di impostare la pièce rinunciando all'accademia che ha sempre visto recitare questo monologo con i toni drammatici della donna sofferente (nelle note di regia il suo stesso autore raccomanda di recitarla come se la donna protagonista stia sanguinando) e dare spazio alla estrema sensibilità e duttilità della sua interprete, una Miriam Spera davvero in gran forma che sa esprimere i sentimenti voluti da Cocteau riuscendo a non calcare sul lato drammatico senza per questo essere meno convincente o meno Umana. Miriam Spera ha la capacità rara di saper rendere un'emozione semplicemente provandola restituendone con la voce non già l'intenzione o il sentimento ma semplicemente il riverbero emotivo che quella ha sulla parola, sul dialogo, sul colloquio.
Il telefono, vero oggetto feticcio della pièce, nonostante sia il mezzo con cui avviene il monolgo-dialogo è qui uno strumento quasi inutile tant'è che in certi momenti, inaspettatamente (e spiazzando positivamente lo spettatore) Miriam si concede dei brevi attimi di recitazione senza portarsi il telefono appresso ma recitando nuda.
Bella la scena d'apertura con l'attrice esanime sul pavimento in fondo alla scena (e non sul letto come vuole Cocteau) mentre una luce proveniente da un altro ambiente di quinta illumina il palcoscenico di taglio, gettando una luce sagomata che si ingigantisce verso la platea, mentre un'altra luce illumina il telefono, posto di proscenio. Un tempo lunghissimo nel quale non accade nulla (proprio come voleva Cocteau insinuando nello spettatore il dubbio che la donna fosse morta) che fa precipitare lo spettatore in una cupa atmosfera metafisica dove il tempo sembra fermo, come in un quadro di De Chirico.
Il testo viene rispettato pienamente con qualche impercettibile cambiamento lessicale rispetto l'edizione pubblicata da Einaudi (una differente traduzione?) con una sola aggiunta che non siamo riusciti a trovare nell'originale, l'accenno al matrimonio dell'uomo cui la donna parla (e ama...) per esplicitare il senso di abbandono, di solitudine, di tradimento.
Miriam Spera è una donna tradita, sconfitta che accetta anche il ruolo di amante (ecco forse il perchè dell'accenno al matrimonio) pur di rimanere con l'uomo che ama senza il quale non può vivere. Una messa in scena impeccabile, per una interpretazione meno canonicamente accesa ma non per questo meno intensa.
All'Abarico fino a domani.
Visto il
15-02-2010
al
Abarico
di Roma
(RM)