Risultati ampiamente superiori alle aspettative per Adriana Asti - versatile ed eclettica attrice dagli occhi molto espressivi, fiore all’occhiello dello spettacolo italiano, nota anche all’estero dove ha recitato spesso in francese - che fresca nei suoi 81 anni dà un’interpretazione esemplare de La voce umana (1930) e de Il bell’indifferente (1940), due splendidi monologhi scritti da Jean Cocteau (Maison-Lafitte/Parigi 1889 – Milly-la Forêt 1963), intellettuale tormentato, poliedrico, originale, anticonformista, esuberante e non compreso, se non osteggiato, dai contemporanei.
Grandi qualità di due testi (spesso rappresentati insieme) che, al di là di una lettura relativa alla biografia dell’autore con i suoi grandi amori anche omosessuali, vanno letti - e numerose sono state le interpretazioni celebri di attrici non più giovani - per i messaggi di volta in volta veicolati poiché tante e numerose sono le sfaccettature del dolore che ciascuno spettatore può riconoscersi in qualcuna.
Nella magistrale interpretazione di Adriana Asti se ne possono cogliere infinite a cominciare dalla dolorosa angoscia di una conversazione sempre sul filo dell’interruzione in un telefono neonato con comunicazioni difficili e affidate a mediazione umana (simpatico riferimento alla storia della telefonia che ha modificato abitudini sociali e ridisegnato le relazioni esattamente come è stato per il cellulare) fino all’ondeggiante trascolorare del dolore in coraggio e viceversa e alla disperazione di chi si ritrova con un legame spezzato, ramo sanguinante in cui se da una parte scorre ancora rigogliosa la linfa dell’amore, dall’altra la stessa ha preso un’altra direzione indifferente alle sofferenze dell’ex partner.
Due situazioni apparentemente diverse che hanno come risultato nel primo atto unico una solitudine angosciata e dolente cui il telefono offre una consolazione seppure esile visto che l’ex amante ‘riaccoppiato’ e apparentemente altruista rivuole le proprie cose e nel secondo una solitudine già abituale dato che il fedifrago (Mauro Conte) vive in casa muto e indifferente come un soprammobile prima di alzare i tacchi definitivamente.
Efficace la regia di Benoît Jacquot (Parigi 1947), notevole regista e sceneggiatore cinematografico, che si cimenta per la prima volta con la prosa, estremamente essenziale con 75 minuti di spettacolo compreso un rapido cambio di scena in cui sono solo i pochi elementi presenti sul palcoscenico a cambiare posto quasi a lasciare riempire la scena all’abilità drammaturgica della Asti nel raccontare drammi esistenziali che toccano tutti, anche i giovani di oggi solo apparentemente deviati dalla rapida comunicazione tecnologica.
Uno spettacolo da non perdere auspicando che possa diventare un asso nella manica anche per giovani attrici molto dotate.