Lirica
LA VOIX HUMAINE - PAGLIACCI

DELIRIO AMOROSO

DELIRIO AMOROSO
Cremona, teatro Ponchielli, “La voix humaine” di Francis Poulenc e “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo DELIRIO AMOROSO Il Circuito lirico lombardo propone un dittico credo inedito, “La voix humaine” di Poulenc e “Pagliacci” di Leoncavallo, forse l'unico modo per valorizzare, nell'accostamento a opere più celebri, titoli rari e meritevoli ma non abbastanza lunghi da impegnare una serata da soli. In questo caso ovviamente il titolo raro e meritevole è quello di Poulenc (ciascuno decida poi se “La voix humaine” è più raro oppure più meritevole). Tratto da un dramma di Jean Cocteau e andato in scena la prima volta a Parigi nel 1959, ne “La voix humaine” Poulenc ritrova la raffinata e delicata vena dell'epoca dei “Sei”, a cui aggiunge gli accenti drammatici che il testo teatrale impone. Due amanti hanno deciso di lasciarsi e si parlano per l'ultima volta al telefono. Sul palco c'è solo la donna: la presenza di lui si limita ai silenzi nel monologare di lei. Il colloquio telefonico è a momenti tenero ed appassionato, a momenti violento e concitato, tra indifferenza, implorazione e disperazione. Nessuno dei due riesce a troncare la conversazione, anzi, le momentanee cadute della linea telefonica gettano nel panico la donna. Alla fine lei lo supplica di riattaccare, mentre resta attaccata al telefono. Un finale che mi ha fatto pensare a Umberto Saba, “Foglia” (1942): “Dimmi tu addio, se a me dirlo non riesce. Morire è nulla, perderti è difficile”. La voix humaine è pressoché priva di trama e la presenza in scena di un solo personaggio ne rende difficile la rappresentazione, ma la regia di Leo Muscato, al suo debutto nell'opera lirica, è bellissima, creando una pièce coinvolgente ed efficace sul piano drammaturgico. È una messa in scena fatta di poco dal punto di vista scenico e dunque tutta basata sulla qualità della recitazione, come le prove precedenti del regista prodotte dalla Le'Art Teatro, “Nati sotto contraria stella” da Shakespeare, “L'altra Nora” da Ibsen e “Gabbiano – Il volo” da Cechov, lavori che gli hanno fatto vincere meritatamente il premio dell'Associazione Nazionale dei Critici di Teatro. Il lavoro registico nella cura della recitazione è ancora più evidente nella seconda parte, “Pagliacci”, anch'essa composta a Parigi sullo spunto, esemplarmente verista, di un fatto di cronaca accaduto in Calabria e giudicato dal padre del compositore, magistrato a Cosenza. Infatti Muscato riesce a trovare infinite idee nelle pieghe della storia e nei caratteri dei personaggi; propone molti elementi con un grande senso del teatro e soprattutto con notevole forza drammaturgica, come nella scena in cui Canio scopre il tradimento di Nedda, un gioco di porte che si chiudono e non si aprono, sbattono, separano, isolano. La bella ed efficacissima scena di Antonio Panzuto è perfetta. Nella prima parte una via che costeggia case e un muro alto, una macchina sportiva schiantata contro un lampione, la cui luce fredda illumina il monologare al cellulare della giovane donna, vestita con un cappottino rosso strizzato in vita, caschetto di capelli neri con frangetta e tacchi alti. Dopo il prologo dei Pagliacci, il fondale si alza a svelare un teatro con i camerini al piano superiore, tutti contemporaneamente visibili: una specie di casa delle bambole con una scala che collega i due piani e diversi ambienti interni ed esterni. Azzeccati i costumi di Monica Iacuzzo, che situano le due azioni nell'oggi in un luogo imprecisato ma che creano forti suggestioni. Perfette e suggestive le luci disegnate da Alessandro Verrazzi, che caratterizzano la messa in scena ed hanno un grande merito nell'ottimo risultato globale. La voix humaine diventa per Leo Muscato un luogo non tanto metaforico quanto mentale, perchè non vuole rimandare ad “altro” né “altro” significare (ruoli invece specifici della metafora). Mentale perchè è lo spazio dove si affollano i pensieri, le paure, le ossessioni della donna, che arriva ad avere quasi allucinazioni, a vedere ombre e presenze che invece sono solo nella sua mente. Un delirio amoroso consumato dentro una camera da letto, in completa solitudine: ma questo si scoprirà solo alla fine, come nel magistrale “Codice privato” di Citto Maselli. Forse sarebbe stato più incisivo (e nuovo) lasciare l'intera vicenda sulla strada, con ombre e fantasmi che rendono allucinata ed estranea la realtà della donna. Avrebbe acquisito maggiore fluidità anche il passaggio da Poulenc a Leoncavallo, perchè la strada dove è ambientata la Voce umana è la stessa dove principia Pagliacci. Pagliacci è una prova registica di straordinaria maturità. Muscato ha eliminato gli orpelli tipici del meridione d'Italia ma è riuscito nella rara (e difficilissima) impresa di rendere un “sud dell'anima” nelle movenze dei protagonisti, nei comportamenti della folla e in dettagli raffinatissimi (come i braccialetti che tintinnato alle braccia di Nedda). Di più, ha mostrato il dietro le quinte dei protagonisti, sia nello spettacolo che nella vita. E questo è l'elemento vincente della regia. I camerini di Canio, Nedda, Tonio e Peppe sono a vista, ciascun attore ha un suo camerino (quelli di Nedda e Canio sono agli opposti) tranne Tonio, lo scemo (ritardato mentale più che deforme fisicamente) che si cambia nel disimpegno in cima alle scale. La presenza dei mimi (“servi di scena”) crea l'atmosfera del teatro nel teatro. I riferimenti al teatro dell'arte sono colti e divertenti, dagli “attrezzi” con cui i teatranti entrano in paese all'inizio (splendido l'animale rosso a tre ruote che muove le ali e la coda) ai costumi della pantomima, particolarmente comica e per questo particolarmente dolente, anche nell'esasperare gli attributi sessuali di Arlecchino e Colombina (un superdotato culturista e una svaporata maggiorata) nel confronto con l'enorme epa di Pagliaccio. La verità è che amore e tradimento, con quegli abiti, sono ancora più stranianti e dolorosi. Che dire del geniale Tuca-tuca di Colombina e Arlecchino sul pizzicato degli archi? E del finale, con il panciuto Canio che reca in braccio il corpo di Nedda come una bambola di pezza? Teatralissimo è, insomma, tutto l'andamento della pièce, fino alla sua conclusione, con le pugnalate date in mezzo al pubblico (i coristi). La giovane donna protagonista della Voce umana è Charlotte Riedijk, che ha sostituito a ridosso del debutto l'annunciata Tiziana Fabbricini per un'improvvisa indisposizione. La Riedijk incarna emblematicamente la protagonista, a cui conferisce un fascino tipicamente francese; la voce ha spessore ed è usata nel modo giusto, riuscendo a tratteggiare i sentimenti della jeune femme. Nel cast di Pagliacci tutti gli interpreti sono bravi dal punto di vista attoriale, meno da quello vocale. Il Tonio di Ivan Inverardi ha voce pastosa ed omogenea ed è l'unico che convince appieno. La Nedda di Esther Andaloro ha qualche difficoltà in alto e tende ad assottigliarsi in basso, ma è la più brava nella resa drammaturgica del personaggio. Acerbo e poco luminoso il Canio di Mickael Spadacini, in anticipo sulla musica nel “Vesti la giubba” che il pubblico attende. Enrico Marabelli è un Silvio debole e poco affascinante. Giulio Pelligra (Peppe) completa il cast. Buona la prestazione del coro di voci bianche dell'istituto pareggiato Monteverdi di Cremona, diretto da Raùl Dominguez e del coro del Circuito lirico lombardo preparato da Antonio Greco: il “Din don”, momento sempre di non facile realizzazione, viene risolto da Muscato col coro in proscenio e i bambini inginocchiati che giocano con gli specchietti, rifrangendo la luce dei riflettori verso la platea. Il direttore Matteo Beltrami si rivela bravo interprete delle pagine di Poulenc, sottolineandone i dettagli e restituendo un suono teso e invetriato, che è sostegno ideale della voce della protagonista e, al tempo stesso, di particolare atmosfera nei momenti sinfonici. Invece in Pagliacci Beltrami ha mano più pesante, per cui il suono è meno pulito e più chiassoso, spingendo l'orchestra “I pomeriggi musicali” verso un verismo manierato. Qualche posto vuoto a teatro (da rilevare la pioggia battente che ha scoraggiato alcuni), moltissimi applausi per tutti, in particolare per il regista. Il dittico sarà poi rappresentato nei teatri del Circuito lirico lombardo (Como, Brescia e Pavia), a Ferrara e a Jesi, dove chiuderà la stagione lirica. Visto a Cremona, teatro Ponchielli, l'8 novembre 2009 FRANCESCO RAPACCIONI
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