Lirica
LA VOIX HUMAINE - THE TELEPHONE

La voce del telefono nel vuoto del teatro

La voce del telefono nel vuoto del teatro

Al Teatro Alighieri di Ravenna si riparte (o meglio si parte, dato che questo è l’inizio della stagione d’opera 2014-2015) dal Novecento con due opere in un unico atto, La voix humaine di Francis Poulenc su testo di Jean Cocteau e The telephone ou L’amour à trois di Gian Carlo Menotti: protagonista e filo conduttore di questo dittico è il telefono.

La voix humaine nasce come pièce teatrale di Jean Cocteau, rappresentato nel 1930, da cui solo trent’anni più tardi Poulenc ricava un’opera in un atto. Si presenta come un’opera di carattere essenzialmente psicologico, costituita da un solo personaggio (una donna senza nome), intenta nell’ultima, angosciante telefonata all’ex amante, che volge sempre più all’affannoso tentativo di smascherare le reciproche bugie e alla triste presa di coscienza che la loro storia d’amore è ormai finita. Una donna che agisce senza alcun apparente aiuto esterno, anzi assumendosi il compito di tratteggiare il carattere dell’altro. Un “lui” la cui voce rimane per tutti, tranne che per “lei”, solo immaginata, ma che, nondimeno, costituisce un fondamentale soggetto drammatico nella sua presenza costruita dalle pause e dai silenzi della protagonista.

Qui l’innominata protagonista è Alda Caiello, raffinata ed elegante cantante che ha dedicato gran parte del proprio percorso professionale alla musica contemporanea. La sua interpretazione è risultata più che convincente, non solo nel canto (bellissima voce nel cantato come nel parlato, ottima la pronuncia francese) ma anche nella gestualità, nel movimento, con il quale ha saputo catturare l’attenzione del pubblico e restituire l’inquietudine, l’ansia e la disperazione del personaggio e la straziante conversazione telefonica continuamente interrotta dai disturbi della linea telefonica.

The telephone or L’amour à trois di Gian Carlo Menotti, autore del libretto oltre che della musica che riassume in sé molte delle tendenze del teatro musicale americano ed europeo del secondo dopoguerra, ci trasporta invece in tutt’altro clima di leggera ironia e ammiccante complicità, nel prendere atto dell’impermeabile barriera che il telefono può rappresentare rispetto alla normalità di rapporti umani autentici e diretti. Il sottotitolo allude allo strano triangolo che sta alla base della vicenda, parodia di un aspetto della vita moderna. Un uomo, Ben, sta per dichiararsi a una donna, Lucy, prima di partire per un lungo viaggio, ma la ragazza è perennemente presa dal telefono, che si frappone continuamente tra i due, interrompendone il dialogo. In extremis si palesa l’unico modo che Ben ha per potersi dichiarare: una telefonata!
Operina fresca e frizzante, che a sprazzi ricorda i musical di Broadway e le vecchie commedie americane, un incalzante atto unico, che debuttò 1947 all’Heckscher Theater di New York, dove fu rappresentato insieme alla tragedia La Medium dello stesso compositore. E’ qui interpretato da due giovani cantanti: Teresa Sedlmair, vincitrice nel 2011 del Premio Miglior Giovane Promessa al concorso internazionale Renata Tebaldi di San Marino, perfetta nella parte, la tipica biondina leggera e un po’ sulle nuvole, ed Emilio Marcucci, che ha partecipato alle rappresentazioni della Trilogia verdiana del 2013, un validissimo Ben, innamoratissimo ed esasperato.

L’allestimento firmato per la regia da Sandro Pasqualetto è ripreso in questa coproduzione tra l’Alighieri e i teatri di Lucca e Piacenza. In buca l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini diretta da Jonathan Webb.
L’intrigante scelta registica di Sandro Pasqualetto che dirige entrambi i lavori, di immaginare i due atti unici come due storie ambientate nella stessa camera d’albergo che si susseguono come se si trattasse di clienti che vi si avvicendano con le loro storie totalmente diverse ed estreme, rende ancor più attuali e a noi vicine queste due opere, come si trattasse di quadri di vita reale che si svolgono in anonime stanze d’albergo e che ci capita di scrutare, casualmente affacciati alla nostra finestra allo stesso modo in cui, indifferenti, assistiamo alle tragedie del mondo che scorrono nei nostri televisori. Il regista ha infatti risolto il problema della estrema diversità delle due opere riflettendo su due elementi comuni, il fatto che entrambe le vicende si svolgono in “tempo reale” e in uno spazio chiuso che si può immaginare sia lo stesso:
la scenografa Cristina Alaimo si è ispirata all’artista statunitense Edward Hopper per costruire gli ambienti in cui si muovono i personaggi, l’opera di Hopper è contemporanea ai due autori e, come la regia dello spettacolo, si spoglia di parametri e simbologie, rimanendo nuda e vuota.

Bellissime entrambe le opere, ben allestite, ben interpretate e ben unite tra loro, peccato per il teatro per metà vuoto. Sorge un dubbio: avrà spaventato di più il Novecento o la disarmante attualità del telefono?

Visto il
al Alighieri di Ravenna (RA)