Un sottile fil rouge lega fra loro due opere diversissime come La voix humaine e Cavalleria rusticana, un tenue legame che passa attraverso l’esperienza dell’amore tradito che porterà due donne, fra loro quasi opposte per carattere ed esperienze di vita, a reagire allo shock dell’abbandono, commiserandosi e umiliandosi al telefono la prima, vendicandosi del fedifrago la seconda.
Regia e scene
Emma Dante non cerca rimandi che possano in alcun modo accomunare i due allestimenti, ma gioca opportunamente sul contrasto. Una stanza candida dotata di due letti che si tramuta ben presto nella camera di un ospedale psichiatrico per il dramma di Poulenc, un vuoto nero, corredato solo da tre elementi mobili e diversamente componibili dotati di scale, porte e balconi, per l’opera di Mascagni.
L’asetticità e la sensazione claustrofobica, data dal candore della stanza, ben si addicono all’immagine folle di una donna tormentata dai fantasmi di un passato da cui, senza accorgersene, è ormai inevitabilmente separata, come ben sottolinea il filo reciso della cornetta telefonica; una serie di trascorsi però che ancora la tormentano attraverso le visioni incarnate da due mimi, alter ego di lei e dell’amato, che non finiscono di riproporre davanti ai suoi occhi i momenti felici ormai perduti.
Meno efficace ci è parso l’allestimento di Cavalleria, in cui l’insistenza quasi ossessiva con cui compare in scena una sacra rappresentazione della Passione, con un Cristo di pelle scura oppresso dalla croce e le dolenti al seguito, risulta un poco pesante, sebbene la sottolineatura del rapporto madre-figlio, così stretto nella mentalità mediterranea, e l’accostamento del dolore dalla Vergine a quello di Mamma Lucia possano essere un’idea valida.
L’aspetto musicale
Splendida Anna Caterina Antonacci nei panni di un’Elle nevrotica ma fortemente sensuale, capelli corti e vestaglia rosa, che tiene inchiodati alla poltrona: la voce è splendida, governata con misura, il fraseggio curatissimo.
Sull’altro versante, Carmen Topciu, sebbene dotata di uno strumento non proprio adattissimo a questo ruolo, che di per sé richiederebbe un soprano Falcon, ha mostrato impegno nel tratteggiare una Santuzza stremata dal dolore, quasi pietrificata; la voce si mostra più a proprio agio nei centri e nelle note alte più che in quelle gravi, ma l’emissione è ben controllata. Marco Berti non manca di squillo, il suo Turiddu è incisivo, ma sul finale qualche calo di intonazione risulta evidente. Molto buono il Compar Alfio di Gezim Mishketa che ha saputo, con la sua capacità attoriale e un indubbio controllo vocale, supplire alle difficoltà nell’affrontare un ruolo drammatico. Sostanzialmente adeguata la Lola di Anastasia Boldyreva, emotivamente coinvolgente la Mamma Lucia di Claudia Marchi.
Ottima la bacchetta di Michele Mariotti che della partitura de La voix humaine dà una lettura scarna, ma estremamente suggestiva, in bilico fra nevrosi e abbandono sensuale, delirio e ripiegamento lirico, in perfetta sintonia con quanto suggerito dall’allestimento.
Toni sanguigni, a tratti violenti emergono, invece, dalla direzione del capolavoro di Mascagni, in cui il retrogusto verista appare mirabilmente evidente in tutta la sua profonda tragicità nel gesto scarno ed essenziale.