Tra nevai e valanghe, riappare la Wally di Catalani

Tra nevai e valanghe, riappare la Wally di Catalani

Quante opere, un tempo popolari, sono sempre meno eseguite! E' il destino di Adriana Lecouvrer, Fedora, Francesca da Rimini, Isabeau, Parisina . E chi impone più alle figlie nomi quali Conchita, Fedora, Iris, Afra o Wally? Gli ultimi due, non citati a caso: sono le protagoniste d'uno dei due capolavori di Catalani, La Wally. L'altro è Lorely, altro caso da Chi l'ha visto? Catalani visse poco e male, restando all'ombra d'un Puccini – coetaneo e lucchese come lui – tanto più favorito dalla sorte. E pure tanto più dotato, via, in un confronto ahimè impietoso.

Un capolavoro che appare di rado

In periodi nei quali ripeschiamo gemme barocche per poi subito metterle da parte, le partiture di Catalani meriterebbero comunque maggior fortuna. Almeno per farle incontrare con le nuove leve di appassionati, cui sono ignote. Lucca ed il Teatro del Giglio ogni tanto ci provano: le uniche testimonianze sonore disponibili di Dejanice e di Edmea sono registrazioni live fatte qui una trentina d'anni fa. Ora è la La Wally a farvi ritorno, dopo lunga assenza, tappa ultima d'una coproduzione varata l'anno scorso nel circuito emiliano.

In scena si poteva fare di più

Edizione con luci ed ombre, peraltro; Catalani avrebbe meritato maggiore ardimento. Le scelte scenografiche di Fabio Cherstich sono minimalistiche: in pratica, tre piani a salire, il più alto a suggerire le incombenti coltri nevose. Visivamente, si avverte un senso di piattezza. L'onesta regia di Nicola Berloffa sposta l'ambientazione avanti di un secolo abbondante, ed asseconda i suggerimenti del libretto senza inventarsi altro di nuovo. I folkloristici costumi di Valeria Donata Bettella calzano bene ai personaggi, salvo presentare nel II atto la protagonista – ragazza un po' rude e selvaggia – abbigliata come una equivoca maliarda.

Buona la direzione, buoni gli interpreti

Serena Farnocchia affronta per la prima volta Wally, servendo in un piatto d'argento una parte scoscesa e pesante (e per questo evitata da molte sue colleghe). La sorreggono tecnica adeguata, registro centrale solido, limpide ascese agli acuti; nonché un forte temperamento ed una convintissima recitazione. Altra tessitura impervia ed ingrata è quella di Hagenbach, che Zoran Todorovich risolve con invidiabile riserva di fiato, luminosità bronzea nel timbro e forte impeto virile: vocalità veemente, che richiama il Del Monaco degli anni buoni. Con lo stesso vezzo però di eccedere in qualche eccesso di foga a guastare l'insieme. Ineccepibile Irene Molinari nelle vesti di Afra; Marcello Rosiello non sbaglia nulla nel suo Gellner, rendendone adeguatamente la tormentata psicologia; Francesco Facini dona senile corporeità al suo Stromminger. Un plauso a Paola Leoci per uno sbarazzino Walter, e a Graziano Dellavalle per un colorito Pedone. Saldo mestiere, e buon senso narrativo: la lettura di Marco Balderi, sul podio dell'Orchestra Filarmonica Pucciniana, mostra idee ben chiare su come affrontare questa partitura squisitamente verista. Qualche pecca s'avverte nella condotta del Coro del Festival Puccini.