Uno dei più tragici eventi dell'umanità è stato il rastrellamento e lo sterminio degli ebrei durante la II Guerra Mondiale, nel 1943, dopo le dimissioni di Mussolini. Un evento sul quale, si direbbe che c’è poco da scherzare. Ma tutto sta a come lo si racconta. Certo, se non può essere una commedia, può diventare una tragicommedia. Ladro di razza è proprio questo.
La comicità della pièces, lasciando per un attimo da parte il testo, è derivata dalla lunga esperienza come attori comici dei tre divi che hanno dato vita ai personaggi di Ladro di Razza, portando un po' di leggerezza e di respiro laddove invece c'era la tragedia, e facendo vivere quei sentimenti di ottimismo e amore che in tanti (ebrei come Rachele e socialisti impegnati nella "cellula" come Tiberio e Oreste) all'epoca hanno provato nella speranza che, quell'orrore che tutti sapevano, non succedesse. Sono, infatti dell’idea che, al di là del testo teatrale di per sé, molto del successo comico dello spettacolo derivi proprio dagli interpreti e da un’impostazione registica che penso sia stata innovativa per il regista.
Ma procediamo partendo dalla trama.
Il ladro e truffatore Tiberio, appena uscito di galera, si rifugia nella sconfortevole baracca dell'onesto e preciso fornaciaio Oreste per sfuggire ad un creditore dal nome che è tutto un programma "Atto di dolore", e causandogli un po' di disagi per il differente stile di vita e di orari. Quando Oreste gli chiede di portare il registro dei conti della fornace al contabile, Tiberio fa la conoscenza dell'ebrea Rachele, tanto ricca quanto sola. Il truffatore vorrebbe sedurre la donna per poi derubarla, ma sebbene riesca nel primo passo, scoprendo che la donna è una perfezionista anche a letto, resta travolto dal corso di uno degli eventi più tragici che la storia dell'umanità abbia conosciuto: il rastrellamento degli ebrei del ghetto romano. Tiberio, infatti, dopo aver addormentato col sonnifero l'innamorata Rachele, le svaligia la casa, ma non riesce a fuggire perchè i nazisti sono proprio lì, sotto il palazzo, ed hanno cominciato il loro triste concerto metallico. Suo malgrado, nell'evento tragico, fra i tre personaggi, il primo a farne le spese è l'onesto e preciso Oreste che malauguratamente aveva deciso di aiutare l'amico Tiberio nel colpo grosso. La pièce si chiude con Rachele addormentata sul divano e Tiberio che rientra in casa pronunciando la battuta più straziante (perché non ha niente di comico, ma solo di tragico) della pièce che, invece, fino ad allora era stata di una comicità incredibile (sebbene la comicità si fosse sviluppata nel contrasto tra ricchi e poveri e tra amore e truffa). Infatti, la poesia del testo, scritto da Gianni Clementi, esponente di punta del neorealismo teatrale e pluri-tradotto in varie lingue europee, si nota anche e soprattutto nel finale, in cui non viene detto esplicitamente che i due personaggi stanno per morire, e neanche ne viene mostrata la fine – cosa apprezzata dai cultori dell’ontologia teatrale – ma nella sua commovente quanto straziante battuta finale, Tiberio si accosta amorevolmente a Rachele addormentata sul divano, dichiarandosi ebreo anch’egli: cioè, in pratica, ha capito che anche lui di fronte all’incomunicabilità nazista (sia per una questione di lingua differente che di punti di vista razziali divergenti) non può fare niente e la sua fine è giunta.
Rachele, ebrea, e quindi per stereotipo ricca e interessata ai conti, vive in una casa dove predomina il color giallo come l'oro: la carta da parati così come il telo sul divano è di questo colore con delle fantasie marroni che riprendono il colore delle tende e dei mobili. Non credo ci sia certo una casualità in questa scelta, che a me sembra molto simbolica, visto che in una battuta Rachele informa Tiberio che i Nazisti hanno richiesto 50 kg d'oro agli Ebrei della sinagoga per evitare che li deportassero. Ovviamente il limite non solo verrà raggiunto, ma pure superato.
In realtà quella richiesta è stata una delle più grandi truffe della storia... perchè infatti poi la tragedia si è verificata ugualmente. Ed anzi, secondo la trama della pièce, come ho spiegato più sopra, ne hanno fatto le spese anche i due piccoli truffatori romani Tiberio e Oreste.
Rodolfo Laganà (Tiberio Ceccotti) me l'aspettavo comico così com'è stato (ha pure allungato di 5 minuti lo spettacolo con un imprevisto colpo di tosse che ha richiesto un bicchier d'acqua portatogli dalle mani di Francesca Reggiani, per l'occasione, non tanto come Rachele, quanto come infermiera). Francesca Reggiani (Rachele Bises), con l'immancabile scialle sulle spalle, me l'aspettavo proprio seria come è stata, relegando la comicità a elementi fisico-simbolico-esagerati, come il tremolio-frullio delle mani quando Tiberio la baciava. Daltronde la sua grandezza di comica risiede spesso nel racconto di fatti che provocano rabbia o nel parodiare personaggi famosi. Una vera sorpresa, invece, è stato Francesco Pannofino (Oreste Crescenzi). Certo lo conoscevo per fama, ma la sua celebrità risiede molto più nel doppiaggio, nella voce perfetta che presta ad attori cinematografici americani come George Clooney o Denzel Washington. In questa pièce, invece recitava con accento romano, scatenando risate a crepapelle.
Meravigliosa la scenografia: due stanze di altrettante abitazioni (quella di Rachele, brillante color oro, ricca di argenti e vivande, era sulla parte sinistra del palcoscenico; la stamberga di Oreste, senza bagno, sprovvista di cose da mangiare, rischiarata da una sola candela e con un solo materasso di paglia da dividere in due, era sulla parte destra del palcoscenico) divise da un muro dai movimenti "a libro". Cioè: quando la scena era ambientata in una casa, il muro-foglio era "girato" quasi a coprire l'altra. Davvero affascinante. In pratica sembrava di guardare un libro istoriato, strutturalmente come quelli dei bambini, ma con una tematica molto più pesante, triste e dolorosa che non solo fa parte della storia del teatro (come ogni pièce teatrale), ma anche della storia dell'umanità (e di quella più recente e più truce).
Il regista dello spettacolo, tanto comico quanto impegnato, è Stefano Reali, che in molti ricorderanno per essere stato l'artefice di film come Ultimo, Lo scandalo della banca romana o Le ali della vita.
Prosa
LADRO DI RAZZA
Amore e truffa ai tempi della II Guerra Mondiale
Visto il
10-02-2011
al
Comunale - Ridotto
di L'Aquila
(AQ)