Lirica
L'AFFARE MAKROPULOS

Il fuoco dove tutto finisce

Il fuoco dove tutto finisce

Il Maggio Musicale si è sempre dimostrato propugnatore della musica di Leoš Janáček ed in particolare dell'Affare Makropulos, rappresentato per la prima volta in Italia a Firenze (nel 1966 per il 29° Festival) nella stessa decade di Kát'a Kabanová e Jenůfa e poi altre due volte nel 1983 e nel 2011, quest'ultima a soli due anni di distanza da una memorabile Piccola volpe astuta.

Lo spettacolo di William Friedkin è dominato da un'atmosfera spettrale, dovuta, più che a comportamenti o situazioni, alle scenografie di Michael Curry. Durante l'ouverture scorrono una serie di immagini (tratte da fotografie originali di Rocky Schenck): boschi, laghi, ville, giardini, interni, esterni, una città razionalista di palazzoni, un labirinto di siepi di bosso, luoghi diversi e distanti nel tempo dove si coglie un'aura inquietante e sospesa e dove si nota, nella solitudine, una figura femminile con aria sparuta, insicura, come persa nei luoghi e nel tempo. A quella figura una donna in ombra tende le braccia dal palcoscenico, come a cercare una riconciliazione evidentemente impossibile, come a segnare un dolore eterno.
Lo studio legale del primo atto ha mobili sghembi e pile di volumi polverosi, come in un incubo; il fondo crea linee allucinate dai colori violacei e cangianti. Il secondo atto è ambientato sul retropalco di un teatro, ambiente che parte dal realismo ma, grazie alle luci di Mark Jonathan, vira verso l'opposto. Luci che sono essenziali anche nella resa del terzo atto: la scena è limitata da due basse pareti bianche che paiono dare l'effetto di un libro aperto ed appoggiato in verticale; qui un salotto rosso, un baule e due valigie e un effetto luministico-cromatico incredibile.
I costumi di Andrea Schmidt-Futterer scelgono l'anonimato per tutti, tranne che per la protagonista, sempre inguainata in abiti con strascico che scoprono le lunghe gambe; invece nel finale una vestaglia di veli bianchi la rende simile ad un fantasma.

La regia di Friedkin si basa su un taglio narrativo che tende a sottolineare il lato onirico della vicenda e pare voler evocare gli incubi della protagonista, fanciulla la cui vita è stata congelata nell'adolescenza ai tempi del Rinascimento, mai divenuta donna e condannata a una perenne parabola che non le consente di amare davvero e di essere compiutamente sé stessa se non nelle iniziali E.M.. La gestualità è contenuta e mira a rendere comprensibile il testo, una scelta poco originale ma funzionale. Affascinante il finale: Emilia-Elina si copre il capo con il velo e viene colpita da una proiezione di fiamme, lentamente si accascia come una candela che si consuma, come carta che brucia, mentre in parallelo arde sullo sfondo la grande stele che annunciava sul sipario l'inizio degli atti. Il fuoco dove tutto finisce.

La direzione di Zubin Mehta è profondamente lirica ma presenta momenti di ruvida tragicità perfettamente fusi con il resto: musica e canto formano una sola cosa con un'immediatezza e una potenza espressiva massime. Si colgono nel suono e nei tempi gli accenti della formazione del compositore ma anche le sonorità innovative in un percorso di ascolto assai emozionante. L'orchestra del Maggio lo segue in modo impeccabile, lasciando un segno profondo negli spettatori.

Angela Denoke è una Emilia Marty di grande carisma che richiama una seduttrice in stile Glenn Close piuttosto che una diva sul viale del tramonto: le lunghe gambe nude sui tacchi alti, i capelli corti biondi, i tratti spigolosi. Lo scendere dalle scale al primo apparire la rende subito diversa dagli altri, come arrivasse da un mondo “altrove”: il soprano rende bene quel sentirsi indifferente a tutto che caratterizza la protagonista, una insensibilità che riempie la scena con la sua sola presenza. Accanto a lei di buon livello gli altri sia dal punto di vista vocale che attoriale sia nel delineare i personaggi che nel confrontarsi con la Marty. Miro Dvorsky è un intenso, dubbioso Albert Gregor; Karl Michael Ebner è un indomito Hauk, annunciato da un virare verso il rosso delle luci di scena; Rolf Haunstein è un grigio, insistente Dr. Kolenatý; Andrzej Dobber è un fascinoso Jeroslav Prus, altero e dolente; Jan Vacik un burocratico Vitek; Jolana Fogašová una tenera, bamboleggiante Kristina; Mirko Guadagnini, unico italiano tra i protagonisti, è uno Janek pieno di giovanile baldanza e toccante umanità. Completano la locandina Jan Vacik (Vìtek), Roberto Abbondanza (un macchinista), Stefanie Iranyi (un'inserviente) e Cristina Sogmaister (una cameriera). Marginale ma puntuale l'apporto del coro del Maggio, limitato alla sezione maschile.

Molti posti vuoti ma vivo successo di pubblico con convinti applausi.

Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)