Milano, teatro alla Scala, “L'affare Makropulos” di Leoš Janáček
QUANDO LA STRADA FINISCE
Triste destino quello della musica ceca del Novecento in Italia, poco seguita dal grande pubblico. A Parigi la stagione si è inaugurata con una doppia proposta dedicata alla musica ceca, “La sposa venduta” di Smetana al Palais Garnier (recensione presente nel sito) e “La volpe astuta” di Janáček alla Bastille, con il pubblico in fila al botteghino ed entusiasta nelle sale.
Alla Scala invece si fatica a trovare spettatori per questa bella edizione del Caso Makropulos (per la prima volta in Italia nell'edizione originale in ceco) che meriterebbe il tutto esaurito, anche per i precedenti, splendidi Ka'ta Kabanova e Jenůfa delle stagioni passate. Se Jenůfa segna l'inizio della fase più matura ed originale della produzione di Janáček (distante dal romanticismo di Šárka su modello di Smetana e Dvořák), in Ka'ta emerge, oltre alla problematica morale, l'angosciata protesta contro la società borghese.
Dell'Affare Makropulos, tratto dalla commedia di Karel Čapek ed andato in scena per la prima volta a Brno nel dicembre 1926, è protagonista una cantante d'opera di 337 anni, grazie a un filtro che sta esaurendo il suo effetto e provato sulla sua persona dal padre, medico alchimista alla corte di Rodolfo II (diffidente sugli effettivi poteri dell'elisir). La donna ne cerca la formula fra le carte di un complicato caso legale di eredità che si trascina da un secolo e la trova, ottenendola pagando con indifferenza il prezzo di una notte d'amore col padre di un suo giovane innamorato (che poi si suiciderà). Però non la usa, perchè è stanca di vivere. L'opera si trasforma a poco a poco in un'amara riflessione sulla vita e sulla morte, ambientata in un poche ore in cui emerge una verità basilare: la morte è un fatto di natura e come tale va accettato, poiché serve ad apprezzare ancora di più la vita ed i sentimenti, dei quali l'amore è il più importante in quanto, se negato o ancor peggio svilito, provoca una rovina peggiore della morte.
Luca Ronconi ambienta il dramma in un luogo visto dall'alto, dominato da enormi librerie storte ed incombenti (primo atto), da poltrone di platea in vertiginosa pendenza (secondo atto) e da camere da letto cubiche (terzo atto), un luogo attraversato da una strada rossa sospesa nel vuoto che finisce in palcoscenico, l'itinerario della vita della protagonista (scene di Margherita Palli, costumi eleganti e scuri anni Venti di Carlo Diappi). Ronconi è attento alle dinamiche personali e della trama, la gestualità è curatissima, fortemente teatrale, restituendo l'enorme potenza espressiva della partitura, immutata a diversi anni dal debutto dello spettacolo al Regio di Torino nel 1993.
Il direttore Marko Letonja riesce ad esprimere la concisa ed efficace teatralità della musica, sebbene non dosi bene il volume ed a tratti tenda a sovrastare le voci. Il suono risulta , generalmente, poco terso, quindi meno incisivo. Il coro è ben preparato da Alberto Malazzi.
Angela Denoke crea una Emilia affascinante ed ammaliatrice, naturalmente seducente, indifferente a quello che succede intorno a lei (muore il figlio di Prus e lei continua a spazzolarsi i capelli come nulla fosse), che incanutisce di colpo alla fine. Il ruolo di Emilia Marty non si può giudicare solo sui parametri di una linea vocale ordinata e compatta (che la Denoke ha), bensì su quelli del temperamento e del carisma in cui il soprano primeggia. La sensazionale scena in cui ella narra la propria incredibile storia è perfetta, la durezza di Emilia, resa insensibile dall'innaturale esperienza, è credibile, come la lenta emersione della sua umanità, l'umanità della ragazzina che a sedici anni ha cessato di vivere, oggi una donna che vive nel corpo ma è morta dentro proprio per avere troppo vissuto, un essere in grado ancora di provare un immenso dolore. Nel cast i comprimari sono tutti ottimi, in grado di rendere con nitidezza i personaggi: Gregor (Miro Dvorsky), il conte Hauk-Šendorf (Peter Bronder), l'avvocato Kolenatý (Alan Opie), Jaroslav Prus (Mark Steven Doss), Janek (David Kuebler), Kristina (Jolana Fogas). Con loro Ernesto Panariello, Paola Gardina e Anna Maria Popescu, rispettivamente un macchinista, un'inserviente e una cameriera.
Diversi posti vuoti in sala, nell'intervallo pareri scettici sulla scelta del titolo, alla fine grandi applausi. Meritatamente: il teatro italiano propone poca musica del Novecento. Se non la Scala, chi?
Visto a Milano, teatro alla Scala, il 22 gennaio 2009
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Teatro Alla Scala
di Milano
(MI)