La prima cosa che colpisce di questo allestimento de L'altro figlio di Pirandello è la scenografia. Non ci fraintenda il lettore, non è un modo elegante (e un po' scontato) per dire che lo spettacolo non vale. La scenografia di Massimo Bellando Randone colpisce perché con materiali semplici (cartoni e, crediamo, carta da pacchi) ha ricostruito uno scorcio di Fàrnia, il paesino dove è ambientata la storia, che Pirandello così descrive nell'atto unico: Le casupole cretose, tutte a terreno, staccate l'una dall'altra, con l'orto dietro, pigliano luce dalle vecchie porte stinte e imporrite, con un logoro scalino d'invito davanti a ciascuna. La scena è sviluppata sagittalmente, due case di proscenio, un arco nel mezzo e dietro uno scorcio di vicolo che percorre il palco in tutta la sua profondità, non finto né a prospettiva forzata ma praticabile e usato dagli attori. Lungi dal ricercare l'effetto naturalista del verismo ottocentesco la scena è un monumento (memento) alla povertà italiana degli inizi del Novecento che causa il dramma dell'emigrazione selvaggia che svuota i paesi del sud d'Italia (ma non solo). Su questo sfondo si staglia la figura di Maragrazia, una settantenne che preferisce disperarsi per i due figli emigrati da 14 anni che l'hanno lasciata in miseria, piuttosto che accettare l'aiuto di un altro figlio, che vive a Fàrnia con lei e che, come il giovane medico del paese scoprirà, è frutto di uno stupro, quando su Fàrnia calarono i briganti, liberati dal decreto di Canebardo, Garibaldi, come lo chiama Maragrazia. Un finale a effetto nella novella (scritta nel 1902) per cui la donna che sembra pazza ha le sue ragioni nel rifiutare quel figlio che, pur se innocente, le ricorda troppo l'uomo che le ha usato violenza, tanto da farla ancora tremare.
Un testo reso splendidamente da una regia che gioca molto sulle luci, come la suggestiva la scena che vede, alla flebile luce dell'alba, le valigie accatastate di chi parte, omaggio ai film naturalistici di Martoglio e alle fotografie dell'epoca, ma che altrove si fa pavida e dilata troppo alcune pause nel testo. Pavida forse anche nel dirigere gli attori dei quali rispetta troppo le caratteristiche recitative, poco male per i precisi e intensi Gianni Dal Maso e, soprattutto, Caterina Merlino che sa restituire con un sorprendente linguaggio del corpo l'afflizione e l'età di Maragrazia (vedetela quando viene a prendersi gli applausi, come cambia postura e aspetto e non certo grazie al trucco), mentre Simone Perinelli è un po' legnoso e timido e Laura Sinceri è brava sì, ma interpreta Ninfarosa con troppa disinvoltura per l'epoca e con la dizione troppo contemporanea.
Ma questi sono piccoli dettagli che si dimenticano pensando all'insieme dell'allestimento che sa restituire bene lo spirito dell'opera pirandelliana.
Quello che induce qualche perplessità è, casomai, l'ambiguità dei riferimenti letterari con cui la compagnia accredita la fonte pirandelliana.
Nelle note di regia L'altro figlio viene presentato come tratto dalla novella di Luigi Pirandello non menzionando che dalla novella Pirandello ricavò un adattamento teatrale (messo in scena per la prima volta il 23 novembre del 1923 dalla Compagnia Raffaello e Garibalda Niccòli). E' da quello in realtà e non dalla novella che è stato ricavato il testo messo in scena, con alcune differenze sensibili. Caterina Merlino, che firma la drammaturgia, riduce i personaggi della novella (il figlio di Maragrazia non compare in scena, è il dottore a riferire del suo incontro) mentre Pirandello, nella riduzione teatrale aggiunge dei personaggi (ne presenta in scena 10) e opera alcuni tagli (il riferimento a Garibaldi). Per chi volesse fare un confronto può trovare in rete tanto la novella, quanto la riduzione teatrale.
Il risultato drammaturgico non ne risente, anzi si sottolinea così l'universalità della tragedia di Maragrazia (e delle madri/donne italiane) rinunciando però ad alcuni dettagli socio-antropologici presenti tanto nella novella quanto nella riduzione teatrale. Per questione di esattezza delle fonti dunque invece di scrivere dalla novella (lasciando intendere che la riduzione sia stata fatta ad hoc) sarebbe stato meglio scrivere libera riduzione dall'atto unico.
Sono dettagli che forse vale la pena lasciare a chi si occupa di letteratura teatrale, o forse no.
L'importante è che lo spettacolo sia godibile, come in effetti è, grazie a un allestimento che sa dosare con sapienza recitazione, scenografia e direzione luci.
Roma, Teatro dell'Orologio Sala Orfeo dal 1 al 12 Aprile 2009
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Dell'Orologio - Sala Orfeo
di Roma
(RM)