L'AMBASCERIA DELL'ERA TENSHO

La linea armonica dell'anima

La linea armonica dell'anima

Probabilmente Palladio, quando progettò il Teatro Olimpico, non pensò che la struttura rinascimentale si sarebbe interfacciata con il Teatro Noh Sakurama - Kai. La “strana coppia” si è composta ai giorni nostri per tramandare memoria della cinquecentesca visita di una delegazione giapponese: «Vicenza è di una bellezza indescrivibile: foglie di parole di poetiche virtù ... all’Accademia Olimpica giubilo e gioia risplendono».

La serata si è aperta con il Kyogen “Il sakè della zia”, rappresentazione comica solitamente abbinata al Noh. Questa forma teatrale si sviluppò parallelamente alla Commedia dell’Arte, che l’atto unico ha ricordato vividamente. Il giovane che escogita un inganno per ubriacarsi del prelibato liquore e punire la tirchieria della parente, ingenuamente caduta nel tranello, ha richiamato alla mente la burla schietta di uno Zanni simpatico e maldestro.

Dopo l’intervallo, “L’ambasceria dell’era Tensho” ha ripercorso il viaggio avventuroso affrontato da quattro giovanissimi dignitari, tra i tredici e i quattrodici anni, inviati in Europa dai loro Daimyo, Signori feudali, a seguito della missione di cristianizzazione compiuta dai Padri Gesuiti nel Paese del Sol Levante.

In entrambi gli atti, il ritmo è scorso con rituale lentezza: nella farsa, esasperata dalle reiterazioni simboliche; mentre nel dramma la flemma ha assunto contorni evocativi e raggiunto vette ieratiche. L’affascinante cerimoniale espressivo, che si tramanda dal XIV secolo, ha mostrato la propria stupefacente modernità nella raffinata eleganza formale, tangibile nel caso della barca degli ambasciatori, unico oggetto scenico assieme a una ciotola e a un ventaglio, formata da una sagoma di metallo incurvato a circoscrivere un ambito immaginario. Astrattezza, questa come dell’insieme, che ha lasciato spazio alla rielaborazione personale dello spettatore.

Un narratore ha descritto i dettagli dell’antico tragitto, che successivamente ha preso forma come si trattasse di un suo sogno. La maschera, strumento di incarnazione, ha reso imperturbabile il viso del personaggio protagonistico Shite/Ito Mansho senza perdita di espressività, grazie al differente rivolgersi alla luce e alle intonazioni della voce, marcata negli accenti e ammantata di suggestioni. Le caratteristiche modulazioni del canto gutturale, talvolta onomatopeico (altra strabiliante modernità), erano affidate a un coro e a tre musicisti con strumenti a percussione e un flauto, il cui suono viene tradizionalmente associato alla discesa sulla terra degli spiriti. La scala tonale quasi priva di melodia è parsa scaturire dall’interiorità: linea armonica dell’anima. 

La peregrinazione, nella realtà, terminò tragicamente. I giovinetti, dopo otto anni, fecero ritorno in un Giappone profondamente mutato e trovarono la morte dopo essere stati torturati e costretti all’abiura. Conclusione viceversa gioiosa per il M° Sakurama Ujin, che ha voluto l’attore impegnato in una danza divenuta preghiera innalzata allo spirito del personificato Ito Mansho. Le movenze graziose hanno creato un metaforico ponte con le parole introduttive del novellatore, scandendo prima e congiungendo poi il tempo mitico con quello storico e con il presente. Chiusura di un cerchio scenico stilisticamente perfetto.

Visto il 20-09-2016
al Olimpico di Vicenza (VI)