Entrano. Si dissolvono.
Potrebbe essere un marchio di fabbrica, per quanto è potente una idea tanto semplice quanto pienamente paradigmatica.
Riappaiono. Comincia un pas de deux ritmato da voci sommesse che contrastano con la potenza di quello che denunciano. "Dovrebbe morire..." ed una lista deliziosa di piccoli e grandi disastri sociali ed individuali, degna di un riflesso di Giorgio Gaber, viene pronunciata per restare fisicamente presente per tutto il tempo in cui si viene trasportati in questo luogo che non ha colore.
Roberto Scappin e Paola Vannoni spesso si sovrappongono, anche fisicamente, con gesti pesanti, sincroni oppure alterni, componendo quasi dei tableaux con le loro posizioni che talora seguono le parole, talaltra se ne tengono a debita distanza, ottenendo effetti vagamente destituiti di fondamento, con un incedere oggettivamente lento che al contrario di quanto sarebbe da aspettarsi, non solo attecchisce, prende e dà senso, ma soprattutto appassiona.
La compagnia Quotidiana.com porta alla Sala Ichos "L'anarchico non è fotogenico", una delle tre parti di cui è composto il progetto dall'eco shakespeariana "Tutto bene quel che finisce", narrazione che propone un senso alternativo ai concetti di morte e di buona fine.
E sono sia lo stile, sia l'oggetto porto allo spettatore, a colpire: potenti principi che evaporano anziché sferrare il colpo allo stomaco, parola che conquista il centro su argomenti che conquistano il centro delle emozioni, scena decontaminata per oggetti del pensiero oltremodo contagiati.
La loro geriatria senza pietas viene costruita infatti su fondamenta di frasi fatte, convenzioni, luoghi comuni e nonsense che si autoalimentano e implodono, e idee continuamente divertenti che si cibano di un andamento malinconico, formando un mix irresistibile (fra i tanti spunti ricordiamo per mero piacere di enumerazione la "fonte di luce diegetica", la noncuranza con cui stracciano "le linee progettuali di questo lavoro", l'assenza di gesti d'affetto e di contatti che non siano accennati e respingenti), con l'aggiunta finale di un particolare piacere nel ritrovare una splendida abitudine come quella di fermarsi a parlare con il pubblico, al termine dello spettacolo; modi e momenti che delineano un piccolo miracolo, compiuto con un sorprendente modo di prendere per il bavero un sistema di valori per annegarlo con gentilezza, e senza che nessuno, nemmeno per un attimo, resti agganciato ad una istintiva pietà.