Il testo è di quelli importanti, come sempre quando c'è di mezzo Brecht, naturalmente.
Lo Stabile di Genova, che torna a collaborare con Mariangela Melato (o Lei con lo stabile, fate voi...) produce la messa in scena de L'anima buona del Sezuan con notevole impiego di mezzi: nuova traduzione a cura dei due registi, un nutrito corpus di attori e attrici (quindici) tutti impegnati in doppi ruoli, dato il numero altissimo (ventotto) di personaggi previsto da Brecht, a esclusione di quello di Shen-Te/Shui-Ta interpretati entrambi da Mariangela Melato, voluto dal testo. L'ambientazione in Cina, vista dai due autori come una cornice da fiaba, alla quale si adeguano anche le scene e i costumi di Andrea Taddei (imperdonabile, perchè facile, la scelta di far vestire Shui-Ta alla occidentale) ha invece una sua ragione precisa, dare giustificazione concreta, culturale, antropologica, politica, a una storia che racconta di tre dei che elargiscono una forte cifra di denaro alla giovane prostituta Shen-Te, considerata l'anima più buona del Sezuan (provincia che nella presente parabola simboleggia tutti i luoghi dove gli uomini sono sfruttati dagli uomini, [ma che] oggi non fa più parte di questi luoghi come recita una didascalia presente nell'edizione Einaudi del testo, ma non in quella Melangolo con la traduzione dei due registi). Cifra di denaro che causerà a Shen-Te solo guai e uno sdoppiamento di personalità...
Un testo semplice nella sua essenzialità, una cineserie senza lieto fine, che Ferdinando Bruni e Elio De Capitani tagliano, espungono (le canzoni della prima parte), ritraducono (aggiornandone il lessico) proponendo un adattamento poco fedele all'originale (nello spirito) e poco coraggioso nello stravolgimento.
Il teatro di Brecht è un teatro epico, dello straniamento: si propone allo spettatore con un racconto e dei personaggi tali da render possibile, anzi, da organizzare, un suo atteggiamento critico, eventualmente contraddittorio, di fronte ai fatti rappresentati ed alla rappresentazione dei medesimi1. Nessuna immedesimazione dunque, ma senso critico. Questo non vuol dire non provare emozioni come spiega Brecht stesso:
il rigetto dell'immedesimazione non deriva da un rigetto delle emozioni - e non conduce ad esso. E' compito specifico della drammaturgia non aristotelica dimostrare falsa la tesi dell'estetica volgare, secondo cui le emozioni potrebbero prodursi solamente mediante l'immedesimazione2.L'approccio al testo dei due registi adattatori, invece, propone al pubblico di immedesimarsi nei personaggi presentati e fatti interpretare col classico armamentario del teatro borghese: i vecchi parlano con la voce rauca e stentata (come quelli dei western..), le vecchine hanno ovviamente le spalle curve; i personaggi sono sviluppati tramite i soliti clichè, il tono è quello del vaudeville cui si è arrivati fraintendendo il senso dello sdoppiamento della ex-prostituta e di suo cugino severo e meno indiscriminatamente generoso di lei. Così gli dei sembrano tre inetti, soprattutto nella prima parte, la più imbarazzante da un punto di vista recitativo mentre tutti strillano, urlano, fanno il birignao, impiegano gesti, mossette di un teatro ormai obsoleto. Anche la recitazione di Mariangela Melato, che non si rifà a nessuna macchietta nell'interpretare il doppio ruolo della prostituta Shen-Te e di suo cugino Shin-Ta, riprende l'articolazione musicale della recitazione del teatro classico, tutta verso i bassi quando interpreta il cugino e tutta verso gli alti soavi quando interpreta Shen-Te. Dov'è lo straniamento? Dove la classica recitazione brechtiana, apparentemente monocorde, che lasciava al testo la facoltà di comunicare con lo spettatore? Possibile che i due registi nello scegliere un registro altro non si siano sentiti in dovere, almeno, di dare le ragioni della loro scelta differente? Una offesa? Forse solo una miopia, una enorme gaffe, una mancanza di prospettiva storica che colpisce il paese in tutti i suoi campi, anche in quello teatrale. Oppure un atto di superbia dei registi che, avessero adottato una recitazione più sobria e più consona al testo, temevano di scontentare il pubblico. Il successo lo hanno ottenuto, nella sala piena della prima romana il pubblico applaude interminabilmente richiamando più e più volte Mariangela Melato sul palco. Durante lo spettacolo il pubblico ride, non si indigna, si svaga e non pensa, perchè la proposta registica di allestimento usa le stesse semplificazioni con cui oggi tg e tv ci rappresentano il mondo di cui pretendono di parlarci: il risultato è un discorso piatto, banale, per semplici concetti oppositori, cui è facile aderire o dissentire. Se il testo di Brecht (di)mostra come il bene gratuito (quello che Shen-te fa a tutti indiscriminatamente) sia causa di male e di ingiustizia, indicando come questi concetti vadano rivisti in chiave più complessa, invitando il pubblico tutto a mobilitarsi (nel monologo finale, a sipario chiuso, fatto, dice la didascalia, da uno degli attori ) nella versione di Bruni e De Capitani il monologo proferito da Mariangela Melato,a si pario ancora aperto (come a dire è ancora parte del racconto, non è una comunicazione diretta tra attore (autore) e pubblico), sembra limitarsi a prendere atto dello status quo azzardando un incitamento al pubblico retorico, una cattolica ammissione di colpa e poi tutti a casa alla stessa vita di prima. Nelle tre ore pletoriche di una messa in scena che nonostante i piccoli tagli straborda in un elefantismo non sempre giustificato dal testo (certe lungaggini nei cambi di scena, certe pause forzose nell'introdurre nuovi ambienti) che fa uscire il pubblico da teatro ben oltre la mezzanotte (un inizio anticipato alle 20 avverrebbe permesso a tutti di usufruire ancora del servizio pubblico e non dei taxi) il pubblico non è sollecitato a a riflettere, a pensare, è invitato solamente a godere della messa in scena, dello spettacolo, a immedesimarsi con Shen-Te che si lascia ingannare dai cattivi, alla faccia di Brecht. Eppure nonostante una versione così lontana dalle cornici di riferimento politiche, teatrali, storiche e culturali, nelle quali il testo è stato concepito, la sua problematica si staglia ancora profonda e attualissima. E proprio nello scarto tra quello che il testo dice e le possibilità contemporanee di essere recepito, sia da chi il teatro lo fa sia da chi lo va a vedere, L'anima buona del Seuzan misura lo stato di salute civile del nostro paese e la diagnosi non è per niente confortante... 1 Bertolt Brecht Scritti teatrali I Einaudi, Torino 1975 p. 132 2 Bertolt Brecht op. cit. p. 129 Roma, teatro Argentina dal 5 al 17 maggio 2009
Visto il
al
Biondo (Sala Grande)
di Palermo
(PA)