In queste ultimissime edizioni, il Festspiele Südtirol/Alto Adige Festival ha subito due importanti cambiamenti. Il primo, estendendo la sua collocazione temporale – un tempo, due settimane a settembre – anticipandola agli inizi di agosto (quest'anno, addirittura da fine luglio) e continuando la sua attività sino alla prima decade di quel mese. Il secondo, quello di avere assunto un po' il carattere di vetrina per le orchestre giovanili di tutta Europa, la cui presenza punteggia anche quest'anno il cartellone della rassegna di Dobbiaco: ed ecco in arrivo in agosto la Bayerische Landesjugendorchester, la Gustav Mahler Jugedorchester, la National Youth Orchestra of Netherlads, la Südtiroler Jugendblasorchester, ed una nutrita selezione di studenti dei tre conservatori dell'Euregio (Trentino, Tirolo italiano ed austriaco) ad esibirsi tra le file dell'Orchestra Haydn di Trento e Bolzano.
Ai giovani della National Romanian Youth Sinfonietta – compagine costola della Orchestra Giovanile di Stato della Romania, e fondata dal violoncellista Marin Cazacu – è toccato invece il compito di aprire il Festspiele Südtirol/Alto Adige Festival sotto la direzione di Horia Andrescu: già a lungo direttore della Orchestra Sinfonica della Radio Romena, ed ora a guida della prestigiosa Filarmonica “G.Enescu” di Bucarest con la quale ha registrato l'intero corpus sinfonico di Enescu stesso.
Componenti della Youth Sinfonietta sono un'ottantina di ragazzi e ragazze di età compresa tra i 18 e i 20 anni, tutti freschi di diploma dell'Accademia di Musica della capitale romena, che si sono distinti l'anno scorso - sempre condotti da Andrescu - anche nell'ambito della rassegna internazionale delle orchestre giovanili di Berlino.
In apertura di concerto, una composizione giovanile di György Ligeti, compositore che a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, esule dalle truppe sovietiche, giocò un ruolo di punta nell'ambito delle avanguardie musicali europee. Il suo Concert Românesc, rutilante fantasia di temi folkloristici in quattro contrastanti tempi, senza pause di mezzo, fu impostato da Ligeti nel 1949-50 quando frequentava l'Istituto di Canto Popolare di Bucarest. E' un brano tutto sommato d'impianto abbastanza tradizionale, molto brillante nell'orchestrazione, scritto ancora sotto l'influenza di Bartók e Kodály, che non mostrerebbe indizi di quello che sarebbe divenuto in seguito se non fosse per certe non troppo ardite dissonanze, per l'occasionale intrico di nervose melodie, per il continuo brulicare di cromatismi e di armonie dense e complesse. Segni d'insofferenza giovanile verso le regole, più che vera voglia di rivoluzione. Ciò nonostante, venne ritenuto troppo ' modernista' e se ne proibì l'esecuzione pubblica; fu ripescato dall'oblio solo nel 1971, e da allora appare sempre più spesso, per la piacevolezza ed il carattere di giocosità che lo pervade, nelle sale da concerto di tutto il mondo.
Al Concert Românesc ha fatto seguito uno dei più fascinosi concerti per violino dell'Ottocento, quello scritto da Max Bruch nel 1866 – dunque, quando aveva appena 28 anni – per il grande violinista Joachim, ammiratissimo da tutti i grandi compositori romantici tedeschi. Il Concerto per violino e orchestra op. 26 di Bruch non può strutturalmente competere coi capolavori di Mendelsshon o di Brahms, cui si rifà direttamente, ma l'indubbia piacevolezza esteriore, il calibrato virtuosismo e la piana cantabilità lo inseriscono a pieno diritto tra i lavori prediletti da pubblico e dagli esecutori, sin dalla sua prima apparizione. In questo cintesto l'abbiamo visto affidato al giovane e bravo violinista moldavo Dan-Julian Dutrac, la cui convincente performance è apparsa subito del tutto aliena da possibili ostacoli tecnici, così come da opinabili cadute di gusto retrò. Esecuzione lineare e sobria, la sua, pervasa da quella spavalda nonchalance che a volte solo la verde età, e la suprema sicurezza interpretativa possono permettere.
Nella seconda parte della serata, attendeva il pubblico un must del sinfonismo di fine Ottocento , vale a dire la Nona Sinfonia op. 95 di Antonin Dvořák, detta “dal Nuovo Mondo” perché elaborata dal compositore boemo durante la sua residenza in America. Accantonando la corposa e talora austera scrittura dei lavori sinfonici precedenti, la Nona Sinfonia è una dellecomposizioni più popolari, e tutto sommato anche più sorprendenti del repertorio tardoromantico, ricca com'è di felici spunti melodici, di idee ed intrecci armonici, di incantevoli combinazioni timbriche.
La National Romanian Youth Sinfonietta possiede archi precisi e setosi – questo il punto di forza dei musicisti di quel paese, che affollano anche le orchestre nostrane – e fiati incisivi e vigorosi ma (specie gli ottoni) talora un po' meno irreprensibili. Mettendo comunque alla sferza tutte le sezioni dell'orchestra, Horia Andreescu ha mostrato di avere idee lucide, la necessaria autorevolezza, consegnando una visione stilisticamente coerente e molto passionale di questo popolare capolavoro di Dvořák: con un primo movimento assai ben articolato nelle sue vigorose impennate, un Largo che ci nega atmosfere languide per l'incedere insolitamente spedito, uno Scherzo dai tratti di considerevole incisività, ed un Allegro con fuoco dal ritmo travolgente e corrosivo, ma che ha visto i fiati cadere in qualche piccola defaillance.
Il pubblico affollatosi nella Sala Mahler ha saputo mostrarsi generoso di applausi a tutti gli artisti, ed è stato premiato con ben due bis, vale a dire due irresistibili brani di J. Strauss jr..
(Foto di Max Verdoes)