Un Amleto che non si dimentica, quello interpretato da Massimiliano Donato, e che arriva sulle scene campane grazie alla lungimiranza e all’attenzione del Nostos Teatro di Aversa. Già dal titolo, L'archivio delle anime. L’Amleto, si respira un’aria di profondo, di intenso. Produzione del Centro Teatrale Umbro, di cui Donato è fondatore insieme con Naira Gonzales, lo spettacolo, la cui drammaturgia è costruita dai due insieme, è un'espressione concreta del loro modo di concepire il teatro. Non si tratta di mettere in scena un testo e dare movimento alle parole scritte di un copione, ma molto di più: dialogare, lasciarsi ispirare, interiorizzare, metabolizzare le tante dimensioni che l’Amleto shakespeariano offre e così dare vita alla magia del teatro che si esprime nella cura, nei guizzi, nelle invenzioni, nelle intuizioni. E nel farsi azione, sulla scena e dalla scena, attingendo alla propria creatività in un dialogo serrato tra attore-drammaturgo (Massimiliano Donato) e occhio esterno-regista-drammaturgo (Naira Gonzales), viene creato un piccolo capolavoro di poesie, di intensità profonda, di scavo nel mondo umano.
In uno scenario cupo e fatiscente, grottesco, compaiono una serie di burattini e con loro un uomo, spigoloso, cupo anch'egli nel pallore del volto barbuto che contrasta il nero del suo vestito, dei suoi occhi cerchiati, del cappuccio. Certo non è Amleto. Ed è in questo taglio la prima idea innovativa: è un becchino nel suo cimitero di anime. Il personaggio fa eco a quello che sotterrerà Ofelia e che dialoga con Amleto nella scena prima del quinto atto di Shakespeare, ma non è un modo per raccontare il disfarsi in ossa, bensì il suo contrario: attorno a lui, grazie a lui, al suo riassemblare ossa, rivive la Storia. Un intenso, poliedrico mattatore, in un incessante ed energico flusso sempre in scena, da vita ai personaggi, ora burattini, ora no. Amore, morte, tradimento, follia, suicidio, dolore, violenza viene raccontato tutto in uno spazio mortifero dove lui, il becchino, lui Amleto, lui voce, deus ex machina della storia, incanta nel suo fluire di gesti precisi, definiti, millimetrici.
E sono tante le immagini e le dimensioni che divertono e stupiscono per la loro bellezza o genialità. E’ esilarante quel suo muoversi a ritmo di tip tap (come accade quando è Polonio) o con fare sempre più concitato da becchino, che in un ritmo a volte convulso gioca con la vita e con la morte, oppure quando, tolto cappuccio e barba, muove la regalità di Amleto. L'espressivo burattino della dolce Ofelia, l’abbraccio commuovente della sua morte, la comica struttura mobile del matrimonio di Gertrude, il cappello di Polonio. Su tutte emerge poi la figura inventata della nonna di Amleto. Una donna che si rende subito simpatica, fa ridere nel suo rispondere al percorso personale dell’attore-drammaturgo ma anche all’immaginario fantastico collettivo. Sarà lei a dare il teschio, versione mignon, al caro e amato nipote Amleto-burattino, prima del celebre monologo. E poesia leggiadra è pure quel volteggiar di uccellini, dialogo d’amore tra Ofelia e Amleto su uno sfondo nero. Comico e tragico viaggiano insieme, emozionano e ammaliano, la tensione è alta, il tono partecipativo. Ma dipanata la storia, accaduto l’irreparabile c’è un calo, un superfluo ritorno che spezza quel magico incantesimo, pur restando bello e interessante. Segno di ricchezza di inventiva e nello stesso tempo della necessità, per questo tipo di approccio teatrale, di trovare costantemente un nuovo equilibrio tra profondità, magia dei gesti e concentrazione della durata.
Un’ultima parola. Metateatralità. Tema dei temi. Prende il volto del capocomico, un burattino dal passo fiero che richiama, critica, commenta, dà dritte, sbraita (in dialetto) su ciò che accade in scena, nel comico dialogo con il becchino-burattinaio. Lo spettacolo svela sempre se stesso anche nel finale, che è un altro momento di teatro: poesia di uomo con tutti i burattini in scena e l’artificiale spruzzata di neve di Danimarca, finta emissione di bianco che arriva fino al pubblico, il quale è affascinato, divertito, arricchito, e non può che lasciare riecheggiare l’energia di alcune meravigliose immagini.