Nulla conoscevamo dell'esistenza di Boniface de Castellane, eclettico ed arguto damerino vissuto con memorabile sfarzo nella Parigi fin de siècle; ed è merito di Massimiliano Palmese averne raccontato con grazia e levità nello spettacolo L'arte di essere povero, un lavoro che riprende sin dal titolo la vivace autobiografia del nobiluomo francese. Il marchese de Castellane fu uomo-simbolo della sua epoca, riconosciuto arbitro d'eleganza e maestro di buon gusto; le sue ambizioni di sfavillante grandezza furono per un certo tempo sostenute dal patrimonio della ricchissima ereditiera americana che aveva oculatamente sposato. Quando poi la coppia pervenne alla separazione, il volitivo Boniface dovette adeguare il proprio stile di vita ad una ridotta disponibilità di mezzi; certo non proprio una penosa indigenza, ma in ogni caso un quotidiano ben meno disinvolto e fastoso, che nell'assolutezza del suo linguaggio iperbolico sarebbe divenuto tout court condizione di povertà.
La drammaturgia di Palmese riproduce con l'eleganza vaporosa della scrittura l'immateriale finezza del personaggio, marcandone lo stile capriccioso ed il gusto del paradosso; la narrazione è punteggiata con aforismi di caustica lepidezza, che lasciano intravedere oltre la sagoma del nobile dandy parigino il protagonismo anticonformista di Oscar Wilde. Il testo scenico è una sorta di ritmato vaudeville, anche per via dei brevi inserti musicali; mentre il filo della narrazione, il racconto di un vissuto in prima persona, è intercalato a tratti da rapidi quadri lievemente accentati di parodia.
Pienamente a suo agio nel ruolo, Roberto Azzurro governa con bravura il personaggio articolando le sfumature dell’espressione tra l’assolo istrionico ed una malinconia senza tragicità, per disegnare la ricchezza del protagonista al riparo da soluzioni di maniera; un’esecuzione brillante, che fa convivere con esperta disinvoltura il fraseggio lieve ed il tono serio, la riflessione storica sulle vicende dell’epoca − de Castellane fu deputato della Repubblica e s’interessò di politica estera − e la memoria più leggiadra e spumeggiante. Pure degna di nota è la presenza dei due giovani attori al fianco di Azzurro, lo stentoreo Marco Sgamato ed il poliedrico Antonio Agerola, entrambi dotati di una stupefacente verve scenica; godibili le buffe maschere espressioniste di Sgamato e deliziosamente civettuola la caricatura di Sarah Bernhardt interpretata da Agerola.
Uno spettacolo d’intelligente fattura, ricco di umorismo sottile, che non nasconde, forse, l’ambizione di diventare un piccolo “cult”. Il passaparola è già partito.