Prosa
L'AVARO

Il coinvolgimento nella passione

Il coinvolgimento nella passione

È bello vedere, sentire, essere coinvolti dall'entusiasmo e soddisfazione di qualcuno per il proprio lavoro. La gioa di una fatica coronata dal risultato di un scrosciante applauso, strameritato. Questo è l'ultimo, in ordine temporale, regalo de “L'avaro” di Marco Martinelli e Ermanna Montanari. Questa è la prima cosa da sottolineare: la passione, la cura e la dedizione di una “Compagnia” che mette in gioco se stessa rischiando in prima persona, ed è cosa semplicemente da ammirare.

L'amore per il proprio lavoro è in se commovente ma non è detto che il prodotto sia all'altezza del sentimento, per fortuna non è questo il caso: “L'avaro” delle Albe è anche un bello spettacolo.

L'avaro di Martinelli e Montanari è allestimento generoso, pare un controsenso, di idee, di stile, di teatro nel senso pieno e moderno del termine. Sarebbe lungo descrivere tutto quello che la regia, perché è soprattutto un lavoro di regia,  ha intessuto nelle trame del testo di Moliere da renderlo così maledettamente attuale e ferocemente critico. Occorre andarlo a vedere!

Un allestimento che grottescamente snuda ciò che, più che mai, oggi caratterizza l'individuo e la società: il desiderio di avere quello che è dell'altro, l'ambizione al potere - soldi o successo che sia – la voglia di apparire, di vendicarsi, insomma la ricerca del possesso a discapito degl'altri. Un “cannibalismo d'autunno” in cui tutti cercano di mangiare tutti. Tutti compreso il pubblico: avido nel guardare nella “casetta”, spiato e coinvolto con ottimi giochi di luci e in un finale degno della più strappalacrime delle trasmissioni televisive.

La fine è all'inizio: destrutturare, smontare per ricostruire uguale mentre gli attori giocano coi i corpi, con gli oggetti, la scenografia, le luci; e il testo scivola via in un armonica dissociazione tra parola e azione teatrale che “colpo su colpo” si fa coerente fino a ri-allestire, nel finale, la scena iniziale del posticcio studio di Arpagone dove la verità viene svelata assumendo la maschera di una commedia falsa e farsa.

Un Arpagone che non è donna né uomo, è umano: caricatura di un genere che è voce, mirabile nelle sue evoluzioni e utilizzo del mezzo d'amplificazione; è corpo essenziale dai gesti precisi; è sguardo inteso e mimetico.
È la straordinaria bravura e presenza di Ermanna Montanari. Occorre andarla a vedere!

Il pubblico, purtroppo poco per le congiunture astrali sfortunate: il festival di Sanremo e il derby cittadino, è di quello scelto e partecipa senza risparmio all'Avaro delle Albe con attenzione e coinvolgimento perché condivide la passione per questa strana cosa che è il teatro e che a volte “ci regala il privilegio della comunità o della tribù. E a volte ci salva la vita.” [Andrea Porcheddu, “Una lettera aperta sull'Avaro delle Albe”]
 

Visto il 16-02-2011
al Della Tosse di Genova (GE)