Prosa
L'AVARO

La voce del padrone

La voce del padrone
La bella traduzione di Cesare Garboli appare funzionale alla rilettura dell'Avaro di Marco Martinelli ed Ermanna Montanari, che inseriscono la vicenda in uno spazio che desta curiosità ed interesse, creato da Edoardo Sanchi. Il palco è circondato da una tenda che corre su tre lati, il binario a cui è attaccata è a vista, ai due estremi due impalcature di tubi innocenti neri che contengono proiettori e, una delle due, monitor televisivi. Lo spazio è vuoto, i servi portano dentro e fuori via via tavoli, sedie, vestiti, un modellino della casa. Solo l'asta del microfono rimane sempre in scena, emblema di Arpagone, la cui voce risuona amplificata, dominante sulle altre. Quel segno di potere a cui tutti ambiscono, sia per possederlo, sostituendosi ad Arpagone, sia per usarlo temporaneamente, anche solo per sussurrare poche frasi. Non c'è intimità in questa scenografia, anche quello che succede fuori scena, quindi dietro i tendaggi, si ha l'impressione che sia sotto gli occhi di tutti. E infatti la vicenda è tale per cui non c'è alcuna privacy nella vicenda e nella quotidianità dei personaggi. Anche nei dialoghi a due ci sono sempre personaggi che continuamente passano da una parte all'altra oppure intenti in varie azioni. Il richiamo è al mondo della televisione, ai suoi codici falsi e ingannatori (gli applausi registrati, le risate finte), alla sua tempistica scandita come da un metronomo, al suo potere esclusivo e totalizzante, al cercare il posto migliore per le luci e le riprese (tanto che i servitori arrivano a disturbare i dialoghi a due spostando continuamente i protagonisti da un punto a un altro). Persino il ricorrere continuo ad arbitri prevenuti che c'è nel testo suona sinistramente attuale in questa messa in scena. Molto efficace la scena della festa con musica disco, luci intermittenti e movimenti convulsi in gruppo, come se ognuno sentisse una propria musica e, con quella, ballasse. Nel finale interviene dal fondo della platea, con una fugace apparizione ma amplificata dai video, Marco Martinelli, in piedi davanti alle postazioni luci e audio, proprio come il regista qual è, nella interpretazione solo vocale di Anselmo, praticamente il regista del finale della commedia. Dominante è il buio, il buio che genera ombre, fantasmi, intrighi. Quel buio che Arpagone di porta dentro e che cerca di illuminare con il dio denaro. Nella messa in scena questo è particolarmente efficace nel gioco buio-luci creato assai efficacemente da Francesco Catacchio ed Enrico Isola. I costumi di Paola Giorgi immediatamente connotano i personaggi: abiti quotidiani per i servi, stoffe ricercate e abiti vagamente anni Settanta per gli altri, un'informe tenuta nera per il protagonista, coi capelli legati in un codino da cui nel corso della recita scivolano via dei ciuffi. Fondamentale l'apporto delle musiche originali di Davide Sacco per creare la particolare atmosfera dei diversi momenti dello spettacolo del teatro delle Albe. I personaggi sono destrutturati, frammentati nella ripetizione di gesti come tic: sopraffazioni, lotte per conquistare il potere (per il microfono che rende tale la voce del padrone) oppure per ingraziarsi in modo ipocrita ed opportunista chi quel potere lo esercita. L'ipocrisia imperante, termine di paragone. Nel buio. Straordinaria Ermanna Montanari nel ruolo di Arpagone, giocato sui registri della voce e sulla mimica facciale, una interpretazione raffinata ed efficace, originalissima. Non tutti a fuoco gli altri personaggi, coi servi con accento romagnolo. Bene il Cleante di Roberto Magnani e la Frosina di Michela Marangoni. Con loro, in ordine alfabetico, Loredana Antonelli (la serva Felicetta), Alessandro Argnani (l'ipocrita e opportunista Valerio), Luigi Dadina (Mastro Giacomo, pavido e invidioso), Laura Dondoli (la serva Claudia), Luca Fagioli (Mastro Simone), Alice Protto (Mariana), Massimiliano Rassu (Saetta e un commissario), Laura Radaelli (Elisa, l'unica alla ricerca dell'amore veramente: “con quanta facilità ci si lascia persuadere da chi si ama”). Teatro gremito, pubblico poco coinvolto dalla rappresentazione; alla fine successo tiepido. FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al Ermete Novelli di Rimini (RN)