La scrittura di Ugo Chiti ha adattato un caposaldo come l’Avaro di Molière tenendo conto della possibilità di disegnare tratti personalizzati grazie ad un attore come Alessandro Benvenuti.
Una riscrittura significativa, nella forma e nella sostanza, che riconduce ad un efficace e coerente complesso di essenzialità ed accenti: la scrittura di Ugo Chiti ha adattato un caposaldo come l’Avaro di Molière tenendo conto della possibilità di disegnare tratti personalizzati grazie ad un attore come Alessandro Benvenuti, cui per disposizione naturale a numerose forme di sfumature dell'ironia e dell'autoironia stanno perfino stretti i panni di Arpagone, al quale infatti conferisce una gran dose di energia e gestualità, fino a creare un convincente Avaro cui giova anche la deliziosa inflessione toscana.
Una versione dunque privata di orpelli (tranne che nei bei costumi) e valorizzata nelle caratterizzazioni da Commedia dell'Arte offerte dai nove bravi interpreti in continue ed accentuate sottolineature (piace ricordare ad esempio il Valerio di Gabriele Giaffreda, per metà mellifluo e per metà spavaldo ma sempre all'apice delle due maschere, oppure la saccente e sfrontata Frosina di Giuliana Colzi). Il lavoro si inserisce bene in un'ambientazione si direbbe quasi dark, con elementi spigolosi che ben richiamano gli eccessi caratteriali di Arpagone, insieme con le molte tonalità di grigio (i colori, finanche sgargianti, giungono solo con i capelli dell'intraprendente Frosina e le torte predisposte a sorpresa per accogliere Mariana).
Le corde rosse che costruiscono sia un sipario virtuale, sia occasionali quinte semoventi, accolgono l'arcinota trama del vecchio Avaro, divenuta ormai leggendaria pietra di paragone della taccagneria mista a grettezza, con un accento specifico al tema della finanza più ancora che dell'accumulo, la ricerca di preziosità umane anch'esse assurte a rarità proverbiali (la moglie giovane e bella ma anche parsimoniosa), e gli intrecci degli equivoci e dei sotterfugi: tutto si snoda con un ritmo sempre molto elevato ed incastri che ne esaltano il lato ironico, disegnato ad hoc per un ottimo Benvenuti che tiene in mano pressoché ogni filo con grande sicurezza, concedendosi anche incursioni personalizzate come nel topos dell'agnizione, che viene gestito con un divertente e divertito commento (“Ma questi son colpi di scena che distraggono dalla MIA tragedia!”), così come un finale alquanto sorprendente che propone un tocco di inatteso approfondimento psicologico unito a sangue grottesco, il cui effetto, grazie all'intensa interpretazione di Benvenuti, giova molto all'ambiente creato.