L’Avarizia. Un vizio capitale, forse quello che fra tutti, spinge più velocemente l’uomo nel tunnel dell’infelicità. Molière ne ha sperimentato l’adattabilità a personaggi teatrali nella sua epoca scrivendo ‘L’Avaro’, una commedia all’apparenza senza pretese che risulta oggi, immortale.
Tanto che Claudio Di Palma gioca con il testo molieriano senza risparmiare nulla all’uomo moderno, portandolo così vicino ad una verità che, per un verso o l’altro, lo rappresenta. Per fare questo, in una grande teca da collezionismo colma di sedie di ogni fattura ed epoca che circoscrive la scena, ci regala un virtuosista teatrale: Lello Arena.
Arena è un Arpagone non solo taccagno ed ossessivo, ma un bambino viziato e succube del suo complesso edipico, tanto che la sua cassetta di denaro è la ‘Madre Dea’ della tranquillità e del rifugio emotivo, imperante sulla tua testa fino al momento del furto, oltre che il metro di giudizio nella ricerca costante del complotto e dell’arrivismo.
Senza accorgersi di ciò che gli accade intorno, della relazione già consumata della figlia Elisa con il valletto Valerio e dell’amore del figlio verso la donna che lui stesso deciderà di prendere in moglie seppur senza dote, Arena si chiude e schiude con ritmi incalzanti nella complessa personalità del personaggio, conferendogli però una umanità disarmante nel suo ‘frignare’ attenzioni che fanno decadere l’idea di semplici e subdoli ordini. Nella surrealità della condizione, l’onestà intellettuale che Arena attribuisce ad Arpagone è diretta e consente all’artista di regalare intensi momenti di ilarità, come nella scelta del menù nel pranzo di presentazione ufficiale della presunta sposa (indimenticabili i giochi di battute sulla patata ed il ‘pescio’, come dichiarato dall’artista la prima di sua creazione e il ‘pescio’ un omaggio all’indimenticabile Peppino De Filippo) alternati ad impatti forti come le sue reazioni di fronte ad una non buona considerazione che di lui ha la gente.
La capacità innata di Lello Arena nel regalare alla drammaticità quella leggera profondità di matrice napoletana viene assaporata tutta dall’istante in cui si attua il furto del suo tesoro. E qui bravo Di Palma a circondare Arpagone di fantasmi (i personaggi dell’opera) a disposizione iconografica per consentirgli, inconsapevole dello spreco di una vita ma chiaro al pubblico il messaggio, di farsi accusatore del furto, ed al contempo testimone di un furto più grande: aver sottratto a se stesso ed alle persone care la gioia che l’amore (altruistico o romantico che sia) più regalare ad un essere umano.
Bravi gli attori in scena nel sostenere i ritmi incalzanti dell’opera moleriana: Fabrizio Vona, Francesco Di Trio, Valeria Contadino, Giovanna Mangiù, Gisella Szaniszlò, Fabrizio Bordignon ed
Enzo Mirone. Suggestivo il tema musicale di Paolo Vivaldi