“Le belle notti” è uno spettacolo che può far sorridere chi il ’68 l’ha vissuto in prima persona e anche i giovanissimi di oggi, che hanno un umorismo affine a quello dei protagonisti della storia, studenti liceali che dialogando, spesso, facevano battute, usavano un vocabolario “colorito” e si prendevano un po’ in giro, quarant’anni fa proprio come adesso.
Il cast si avvale di 17 interpreti bravissimi e su ciascun personaggio si è lavorato perché avesse un carattere particolare, un proprio stile adolescenziale, una sua nota comica, un modo tutto personale di “fare l’occupazione” e dare un significato a questo gesto.
I ragazzi intonano inni – e con che voci! – al “Che”, cantano Light My Fire di Jim Morrison, leggono citazioni di Mao Tze Tung. Qualcuno di loro nella rivoluzione ci crede davvero, qualcun altro ci tiene fin troppo mentre altri, sulle prime non ci credono tanto e probabilmente prendono parte a questa “impresa” per la voglia normale che c’è, a quell’età, di sentirsi ribelli. Come in ogni compagnia di studenti c’è lo spaccone che sa portare una risata anche quando la tensione sale e finisce col sembrare poco serio. Ma tutto sommato, anche se in determinati momenti possono sembrare – e sentirsi – un po’ ridicoli per l’enfasi che danno alle cose più banali, questi studenti mostrano di essere coraggiosi, ciascuno a modo suo e di sapersi unire nelle difficoltà, nonostante le differenze caratteriali e di estrazione sociale.
Se gli idoli di quella generazione erano i calciatori e la partita di pallone, la seconda parte ci mostra i figli di questi piccoli “rivoluzionari”, che come idolo, invece, hanno la televisione ed il mondo dello spettacolo; non si sanno staccare un secondo dal cellulare e appaiono sicuramente molto meno ribelli ed indipendenti.
L’occupazione degli alunni di quella stessa scuola, ora è una scusa per fare baldoria, diventa una festa dove ballare danze latino-americane e break-dance; si ascolta la musica tecno e i ragazzi indossano abiti all’ultima moda.
Ma da quello che ci viene raccontato, capiamo che anche i loro i genitori, crescendo, hanno perso gli ideali di gioventù. Il messaggio che si intuisce vogliano lanciare nel finale è che le emozioni, quelle collettive quanto quelle individuali, vanno vissute e al contempo si deve usare la razionalità per non dimenticare mai il valore della vita.
Roma, Teatro Sala Uno, 23 Gennaio 2009
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(RM)