Prosa
LE CINQUE ROSE DI JENNIFER

Leandro Amato - attore noto s…

Leandro Amato - attore noto s…
Leandro Amato - attore noto soprattutto per le sue interpretazioni in fiction e soap opere televisive (tra cui “Capri” e “Un posto al sole”) ma con molteplici esperienze teatrali - è il protagonista della pièce “Le cinque rose di Jennifer” (in scena al teatro Argot Studio di Roma fino al 16 novembre). Lo spettacolo, tratto dall’ omonimo testo del drammaturgo napoletano Annibale Ruccello, è ambientato in un quartiere periferico di Napoli, abitato da travestiti. Amato, che sulla scena veste (e sveste) i panni di Jennifer, riporta sul palcoscenico - attraverso un’ eccellente e coinvolgente interpretazione - i pensieri, le sensazioni di un travestito, il suo mondo, la sua realtà claustrofobica, fatiscente, irreale. Si trattano temi importanti come la solitudine, il senso di oppressione, l’ emarginazione sociale in chiave comica e grottesca. Allo stesso tempo si crea un’ atmosfera cupa che è evidenziata in particolare dai notiziari di radio “Cuore libero” - unica compagnia di Jennifer - riguardanti pluriomicidi nell’ ambiente dei travestiti; ai momenti più cupi si alternano quelli più leggeri, sottolineati da brani musicali, anni ‘60 e ’70, trasmessi sempre dalla radio. Jennifer ritrova nelle parole delle canzoni il racconto della propria solitudine e, ballando sulle note di Mina, Patty Pravo, Ornella Vanoni (e quasi identificandosi in loro), trova un momento di svago e di evasione. Riesce a distaccarsi dalla sua soffocante realtà anche intraprendendo chiacchierate al telefono con gente sconosciuta (che puntualmente sbaglia numero) offrendole l’ occasione di sfogarsi. Ma attende un’ unica chiamata (quella dell’ amato Franco) che non arriverà mai. Amato è accompagnato sul palcoscenico dal co-protagonista Fabio Pasquini (con interessanti esperienze in cinema, tv e teatro) nel ruolo di Anna, altro travestito che mostra tutte le proprie debolezze e insoddisfazioni rivelandosi il perfetto alter ego di Jennifer. Con questa commedia – con la regia di Agostino Marfella – si riesce a mantenere intatto lo spirito del testo originario di Ruccello (che lo aveva diretto nel 1980). È esemplare espressione del cosiddetto “teatro della malattia”, con ascendenze più lontane nel Kammerspiel di Ibsen e Strindberg e più vicine nelle figure di Pinter e Genet.
Visto il
al Della Cometa di Roma (RM)