Quando uno spettacolo è semplice, intenso e fa riflettere bisogna andare a vederlo.
“Le fondamenta dell’impero”, presentato ieri sera al Teatro Tempio di Modena dalla Compagnia Quinta Parete, sarà in scena fino a martedì 6 marzo.
L’autore del racconto da cui è stato tratto il monologo è Luca Balbarini: lo aveva scritto già nel 2005 e due anni dopo Enrico Lombardi, attore, e Fadia Bassmaji, regista, lo hanno portato in teatro. Cinque anni di fortunate repliche, e a gennaio la pubblicazione del testo, possono rendere l’idea dell’attualità e dell’interesse suscitato dal brano.
Umberto, il protagonista, parla di sé e dei suoi affari di lavoro, è un uomo che nuota in una mare di pescecani, con la propria morale. Si è fatto da solo, senza chiedere aiuto a nessuno. La sua è una religione dell’Io, fondata, però, su labili basi. Crede nelle tradizioni, quelle svuotate del senso originale e riproposte infiocchettate come nuove per l’occasione; si rifugia nella famiglia, purché non gli crei problemi; ripone fiducia nella scienza, fino a quando quella medica gli diagnostica un male incurabile. E a questo punto la prospettiva cambia: il vincitore è vinto e la sua ragione di vita vacilla sulle radici non così salde come credeva. Le fondamenta crollano, ma solo alla fine, giusto il tempo di vederle vuote ed è già troppo tardi.
L’eco di questa desolazione si riflette nello spazio. Il teatro, inteso come luogo fisico, è privo dei suoi abituali orpelli. Non ci sono quinte, mantovana né fondale, la scena è una spoglia scatola nera che si riempie delle parole di Enrico / Umberto, impegnato in un incessante lavorio di costruzione del suo habitat immaginario. I tasselli, reali e non, che il protagonista muove con disinvoltura sono scatole bianche, assemblate in modi sempre diversi. Nient’altro viene in aiuto all’attore che, solo, tiene le fila dello spettacolo e spazia sul palco / scatola con maestria e naturalezza.
Ha tante cosa da dire il nostro Umberto, ci narra le logiche di una vita ma, a volte, si rischia di perderle nel veloce susseguirsi delle parole. Sarebbe però un peccato arrestare la corsa irrefrenabile del discorso, di mille discorsi di una mente che mostra i suoi appigli fasulli.
La scenografia è essenziale e proprio per questo funzionale. La semplicità premia, il messaggio arriva e il pubblico, partecipe dell’intimità che si è creata, è pronto all’esame di coscienza. Solo un appunto: la scatola donata prima dell’ingresso a teatro potrebbe essere consegnata alla fine del monologo, quale monito a riempirla “con giudizio”.