Antonio Latella ha pensato stavolta totalmente al femminile, scegliendo come testo “Le lacrime amare di Petra Von Kant”, uno dei famosi lavori del cineasta e drammaturgo tedesco R. W. Fassbinder.
Petra Von Kant è la donna. È tutte le donne a tutte le età. Figlia come sua figlia, madre come sua madre, dipendente come la sua dipendente, moglie come la sua amica, donna attraente come quella di cui si innamora. Chiudendo il matrimonio con un marito che poggia la sua esistenza sull'orgoglio, si gode il successo diventando una delle più affermate stiliste di moda del mondo.
Petra Von Kant rappresenta la donna che prende il sopravvento su una società in cui è l'uomo a comandare. Una donna che raggiunge, finalmente, la parità con il sesso opposto, e non solo. Va oltre, si stacca dalla figura maschile, bandendola, rendendosene autonoma, per approdare in uno stato totalmente femminino. Petra Von Kant è la donna con la d maiuscola, anzi la Super Donna.
Una statua alta quasi quattro metri si trova al centro della scena: è un manichino di donna, nudo. Le attrici dello spettacolo gli arrivano all'altezza del fianco e osservano questa grandezza particolarmente interessate, chi con fare scientifico, chi con pura meraviglia. Tranne Petra, che invece la rende propria, quasi come fosse un prolungamento del suo corpo. E in effetti è cosi. La Super Donna Petra Von Kant non è altro che un manichino, una figura imponente sotto cui Petra si rifugia quando è il suo quotidiano a crollare. Quando ogni difficoltà le si schianta forte in faccia i pezzi vengono raccolti e incollati dalla delicata Marlene, la sua dipendente, che la segue pazientemente giorno per giorno, facendole da segretaria, cameriera, colf e anche da tramite. Tramite fra due mondi: la casa di Petra e tutto il resto che vi è oltre. La protagonista vive all'interno della sua dimora lasciando instaurare tutti i contatti con l'esterno o per via telefonica, o per corrispondenza.
Davanti Petra, dietro il mondo come ombra, come qualcosa che agisce sorda alle spalle, sconosciuta. Un bellissimo gioco di ombre, una delle cose meglio riuscite dello spettacolo insieme all'interpretazione degli attori, trasforma il fondale di scena in uno schermo rivelatore in cui figure simboliche e verità nascoste prendono corpo.
Tra le mura di Petra Von Kant: questa è la forma della realtà. Tutto ciò che passa da lì è mondo, il solito, chiuso nella sagoma della grata di una prigione. Poi, improvvisamente, Karin Thimm, una ventenne che porta a spasso un fisico giovane e fresco come nessun altro.
Laura Marinoni gestisce la figura della Von Kant in maniera lucida e oculata, Cinzia Spanò rende con forza il dirompente personaggio dell'amica, spregiudicata e cruda Silvia Ajelli nei panni di Karin. Meritevoli anche il lavoro e l'interpretazione del resto del cast.
Il dramma, più o meno nascosto, portato in seno dalla protagonista e da tutte le donne che le ruotano attorno, rimane però lì, chiuso in una quarta parete che lascia passare le informazioni della storia, ma non le emozioni. Luce dominante fredda, scenografia minimale con toni radical chic, costumi in lotta tra la lucentezza del bianco e l'opacità del nero.
Un dramma figlio di una società anni '70, per un impianto registico contemporaneo figlio delle ondate culturali modaiole del momento.
Teatro Ambasciatori,
Catania, 10 dicembre 2006
Visto il
al
Comunale (Sala Grande)
di Bolzano
(BZ)