Prosa
LE LACRIME AMARE DI PETRA VON KANT

Fanu (PU), teatro della Fortu…

Fanu (PU), teatro della Fortu…
Fanu (PU), teatro della Fortuna, “Le lacrime amare di Petra von Kant” di Reiner Werner Fassbinder L'AMORE E' PIU' FREDDO DELLA MORTE “Ogni volta che due persone si incontrano e stabiliscono una relazione si tratta di vedere chi domina l'altro. La gente non ha imparato ad amare. Il prerequisito per poter amare senza dominare l'altro è che il tuo corpo impari, dal momento in cui abbandona il ventre della madre, che può morire” (Fassbinder). Il primo film girato da Fassbinder nel 1969 ha un titolo che sembra la chiave di lettura di tutta la sua produzione: “L'amore è più freddo della morte”. La sua drammaturgia, infatti, anticlassica e apparentemente popolaresca, trasforma il teatro nello specchio di una realtà fatta di sesso, violenza, sadismo, noia, priva di comunicazione umana, devastata dalla crudeltà, tematiche sottolineate da una forte inclinazione per gli eccessi visivi e verbali. Fassbinder ha portato spesso i suoi drammi sullo schermo con la stessa efficacia, con la medesima forza provocatoria politica e sociale. Latella lo aggiunge al suo repertorio di drammaturghi della diversità ma evita facili riferimenti al film omonimo del 1972 e allo stile dell'autore. Continua sull'impervio cammino della ricerca della verità e dell'essenzialità del linguaggio e dell'universalità dei comportamenti. Sceglie un andamento non naturalistico: non ci sono mobili nè suppellettili, solo ombre, immagini proiettate sui teli bianchi di fondo. I dialoghi sono accompagnati da una colonna sonora di rumori (il ticchettio della macchina per scrivere, il caffè che sale nella moka, il telefono), musica e canzoni. Al centro la tematica, cara a Latella, della difficoltà dei rapporti umani. Infatti si narra della devastante passione di un'affermata stilista verso una giovane opportunista, la quale, dopo avere approfittato delle sue conoscenze e del suo potere, la abbandona, provocandone il crollo psichico. I personaggi sono contrassegnati dall'incapacità di comunicare e da differenti modi di amare, ma sono uniti dal ritrovarsi sommersi nella più completa, amara solitudine. Petra è inaridita da due fallite esperienze matrimoniali, nevrotica; consuma nella solitudine e nel livore le sue giornate chiusa in casa, indifferente, anzi quasi infastidita dalle attenzioni della segretaria Marlene che si cura di lei amorevolmente. Conosce Karin, ne invidia la giovinezza e la spregiudicatezza, ne brama l'amore per sentirsi viva, un amore dalle sfumature sadiche, un amore che è principalmente desiderio di possesso. Marlene le è assoggettata completamente, vittima, per questo non le suscita alcun desiderio. Karin, forse perchè proletaria, è più forte di Petra, sa quello che vuole e vive il rapporto omosessuale come un'opportunità per far fortuna nel lavoro e nella società. La pièce è ambientata in un luogo-non luogo, museo e ospedale, dominato dalle ossessioni: la borghesia e il capitalismo edificano un involucro all'interno del quale l'uomo si illude di stare al sicuro, ma l'amore, non dominabile razionalmente, lo costringe a fare i conti col suo essere un animale, a fare agli altri ciò che subisce, a distruggere ciò che non riesce ad ottenere. L'essere umano viene chiuso in uno spazio confinato, come se, isolandolo, si riuscisse ad evidenziarne tutti gli aspetti con intento medico-legale, un'autopsia alla ricerca del virus che l'ha contagiato, l'amore. L'amore complica ciò che razionalmente si cerca di perseguire. Successo e denaro impediscono di arrivare all'essenza dei sentimenti. All'ingresso in sala del pubblico il sipario è aperto, davanti a un fondale bianco si erge una bambolona gigantesca nuda che ha le sembianze dell'interprete di Karin; le attrici la guardano con stupore, con ammirazione, come una statua al museo. Tutto avverrà ai piedi di questa bambolona, alla cui ombra si aggirano quelle anime in cerca di un centro di gravità per non farsi risucchiare dalla squallida quotidianità in cui vagabondano. Rumori e videoproiezioni: gli incubi di Petra sconvolgono il suo sonno disturbato (“ho fatto sogni opprimenti, sento la testa un peso, come il piombo”). Una telefonata, Petra è vittima della madre che le chiede soldi e la tiranneggia psicologicamente. Gli oggetti sono ombre cinesi che galleggiano sul telo bianco di fondo scena, lontani, vicini, rimpiccioliti, ingigantiti. Petra non esce di casa, vive, lavora, riceve, tutto fra quelle mura. Con l'amica Sidonie ripercorre le tappe del suo viaggio sentimentale: “il mio primo marito era un bell'uomo ma era un esaltato, credeva di essere immortale. (...) le persone cambiano, prima ero diversa, ma nel matrimonio hanno il sopravvento i lati più deboli del carattere. Io e il mio secondo marito non abbiamo litigato, no. C'era gelo tra di noi, la paura di comunicare, avevo il terrore di finire per essere io la più debole”. Intanto ha indossato una gonna fatta di pezzi di stoffa asimmetrici non rifiniti tenuti insieme con spille da balia e al collo una lunga collana di grandi biglie che diventa manette ai polsi mentre descrive il desiderio di essere felice, lontana dalle costrizioni: “ogni essere umano ha bisogno di un altro eppure non ha imparato a vivere assieme”. Inattesa arriva Karin, imita la postura della bambolona (che ha le sue sembianze), provoca Petra. Petra ha i primi turbamenti guardando Karin, si sente sola, molto sola. E le dichiara il suo amore. Totale. La voglia di abbracciarla, di baciarla. Insopprimibile. L'amore non ha mezze misure: è solo totale. Corrosivo e distruttivo. E quindi mortale. Petra si getta senza pensarci tra le braccia di Karin, un salto nel vuoto per inseguire, o forse per ripercorrere con tanta disperata ostinazione quell'utopia probabilmente infantile e impudente che si chiama amore. Il tempo passa, le cose cambiano. Karin diviene autonoma, Petra impazzisce dal dolore: “io starei ore fra le tue braccia e tu sei così crudele. (...) ti prego, mentimi, dimmi delle bugie. (...) il cuore mi fa tanto male, mi sembra che me l'abbiano trafitto con un coltello, io ti amo e per questo sto così male”. Soffre, è rabbiosa, ha attacchi isterici, beve. La presenza della figlia ha i toni allucinati di un incubo che deforma la realtà. La festa di compleanno di Petra è un'ossessione, luci impazzite, musica a tutto volume, movimenti meccanici e allucinati, un tango della follia che conduce la protagonista a scagliarsi contro la madre, la figlia, Marlene: “siete tutte così false, misere, siete delle stronze, repellenti, siete solo dei parassiti”. L'unica via di uscita è distruggere tutto, fare a pezzi la bambolona con le sembianze di Karin tra le cui gambe si era sempre rifugiata (all'inizio dorme accucciata tra quei piedi enormi). Dall'agognare la pace nella morte, Petra passa alla volontà di ritrovarsi, consapevole dell'impotenza degli esseri umani di fronte ad ogni disgrazia. Risucchiata da un vuoto sentimentale senza precedenti, Petra incarna una sfinita infelicità: l'amore distrugge mentre ci si illude di realizzarsi (“bisogna imparare ad amare, senza pretendere nulla... io volevo solo possedere”). Ma, consapevole di poter morire, Petra riscopre un nuovo modo di amare senza voler dominare l'altro. E, insieme a lei, anche Marlene piange. Lacrime amare. Come la vita. La recitazione è il punto di forza della rappresentazione. Grandissima prova per Laura Marinoni, che esprime la totalità di sentimenti e stati d'animo con mille sfumature, voce, gesti, moti impercettibili del viso: mordersi un labbro, sollevare un sopracciglio, girare lo sguardo, atteggiare il corpo. La Marinoni si reinventa di continuo, scena dopo scena, dalla distanza all'esplosione dell'amore, dall'abbandono alla disperazione, con una intensità indescrivibile e trasmettendo al pubblico emozioni profondissime. La dipendenza da Petra caratterizza gli altri personaggi. Silvia Ajelli è la seduttrice, l'opportunista Karin (ruolo che al cinema fu della giovane Hanna Schygulla). Candida Nieri è Marlene, figura muta in nero (le altre sono tutte in bianco) che insegue ogni gesto e ogni movimento di Petra con una dedizione non spiegabile se non con l'amore; segretaria che fa tutto il lavoro di Petra, ingessata in un silenzioso rigore, e costituisce il tramite tra Petra e il mondo. Mascheramenti borghesi per l'amica, la figlia e la madre (rispettivamente Cinzia Spanò, Stefania Troise e Sabrina Jorio), quest'ultima struggente con le ciglia fintissime nel cantare “Profumi e balocchi” al compleanno di Petra in un rovesciamento di ruoli straniante e allucinato. Alla fine le lacrime si confondono con la pioggia, simbolo dell'amarezza del vivere. Pubblico attento e coinvolto. Lunghi applausi, soprattutto per Laura Marinoni. Visto a Fano (PU), teatro della Fortuna, il 14 febbraio 2008 FRANCESCO RAPACCIONI
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al Comunale (Sala Grande) di Bolzano (BZ)