Prosa
LE MATTINE DIECI ALLE QUATTRO

Autore e attori in stato di grazia

Autore e attori in stato di grazia
Tre giovani attendono autobus diversi alla stessa fermata della periferia romana. Ogni mattina, dieci minuti alle quattro. Stefan e William lavorano in un cantiere, mentre Cira fa le pulizie per una ditta. Stefan, un rumeno che non conosce nemmeno una parola in italiano, zoppica, si è fatto male a una gamba. William, romano, attacca bottone con Cira (sarebbe Ciranda (...) si pronuncia Siranda con la esse ma si scrive con la c) dopo aver assistito a una telefonata di lei con una compagna di lavoro uccel di bosco (è andata a fare la cubista a Torino). Nasce così una conoscenza, timida, discreta. Cira, apparentemente svagata, ha invece i piedi per terra, consiglia a Stefan di andare al pronto soccorso. William è timido, ingenuo, candido. Cira si ricorda di lui: erano compagni di scuola, e di gioco; lei, più piccola di due anni, se ne era innamorata mentre lui nemmeno la notava. Allora. Adesso pende dalle sue labbra. Nonostante sia dell'82 William è un adolescente dolce e tenero. Per corteggiarla non va a lavoro, la invita a fare una gita al mare, la domenica, unico giorno di riposo per entrambi. Intanto parlano. Del loro loro passato, di come si vedono nel futuro, mentre Stefan esce presto di scena, resta a casa perchè la gamba gli fa troppo male... Luca De Bei ha la straordinaria capacità di raccontare una storia privata, dalla quale fa emergere la realtà dell'Italia contemporanea antropologicamente mutata dalla tv (Cira che deve il nome a una telenovela brasiliana, William che deve il suo al figlio di Lady D.), dove i giovani appena ai margini della città non sono scolarizzati (William ha ripetuto la terza media 3 volte prima di smettere mi pareva di perdere tempo, Cira voleva continuare a studiare ma come parrucchiera) e sono costretti a lavori senza tutele e senza diritti. Eppure, nonostante tutto, hanno ancora un senso di responsabilità, di voglia di fare, non sono dediti al teppismo, non sono delinquenti o violenti, non indulgono in alcun eccesso, nonostante due famiglie molto assenti (per quel poco e niente che sappiamo della famiglia di lei, mentre William racconta di un padre bigamo, una madre entrata in depressione e un fratello finito in galera). Nessuna tentazione di facili sociologismi dunque. Le mattine dieci alle quattro ha l'intelligenza e la sensibilità di parlarci della vita della periferia romana senza usare i luoghi comuni, mostrandoci direttamente la vita vera, prima che i luoghi comuni la deformino, grazie alla sincerità dei suoi personaggi, alla loro capacità di stagliarsi, privi di ogni sovrastruttura, difronte una società mostruosa, che né li rappresenta né li tutela. Una società  dove l'illegalità diffusa è tollerata nel lavoro (Ciranda è senza contratto e senza assicurazione), una società priva del rispetto per la vita (William e Stefan lavorano in un cantiere dove nessuno ha cura la tua sicurezza, Stefan si è fatto male cadendo da un ponteggio di sette metri), che non riconosce alcun diritto lavorativo (si lavora 12 ore al giorno per 30 euro, 250 ore al mese quando il limite per legge è di 170). Una società nella quale gli adulti soffrono di un malessere diffuso espresso in varie forme (la bigamia del padre di William, la depressione della madre), mentre i giovani, anche quando non finiscono in galera come il fratello di William, si recano a lavoro fatti di coca perché magari la sera prima non hanno dormito per andare in discoteca e rischiano di addormentarsi sui ponteggi... Ma questi dati rimangono in tralice mentre Cira e William si fronteggiano, timidi, bisognosi d'affetto, alla ricerca di un rapporto che sia concreto, con una assenza di schemi spiazzante e commovente, in un equilibrio perfetto tra privato e pubblico dove i guasti di quello (l'abbandono dei giovani a se stessi, la mancanza non solo di figure familiari ma adulte pressoché totale) denunciano quelli di questo (l'assenza di legalità in una società che vede morire i propri giovani senza intervenire) e viceversa.  Insomma, De Bei affronta il tema scottante delle morti bianche nei cantieri in maniera inconsueta, accentuando, proprio attraverso la leggerezza, la drammaticità dell’epilogo come recita la motivazione che ha visto lo spettacolo finalista al premio “Enrico Maria Salerno per la drammaturgia” nel 2007. Sempre attento alla recitazione dei suoi attori De Bei ha affidato i suoi personaggi a tre attori indovinatissimi e altrettanto bravi. Federica Bern dà uno spessore incredibile a Cira attraverso una recitazione rigorosa e precisa la cui spontaneità del personaggio nasce da una padronanza di tutti i registri interpretativi che tocca, da quello brillante di alcune battute "comiche" a quello arrabbiato del finale. Riccardo Bocci non si fa pudore di mostrarsi puro e ingenuo e questa franchezza conferisce al suo personaggio una credibilità difficile da ottenere altrimenti, lo vedi, ci credi e te ne innamori, proprio come se ne innamora Cira. Non da meno è Alessandro Casula nonostante sia in scena per meno tempo. La periferia non solo geografica ma morale della storia raccontata in questo spettacolo è ben resa da una scena (di Francesco Ghisu) sempre immersa in una nebbia mattutina oppure nella luce abbacinante degli autobus (simulata davvero sulla scena) che, mattina dopo mattina, caricano i personaggi, abbagliando il pubblico non solo concretamente con delle luci puntate contro di lui, ma anche emotivamente con un racconto che si distingue per la sua liricità. Un pubblico che, in una sala una volta tanto gremita, apprezza e alla fine applaude senza interruzione per diversi minuti, richiamando più volte gli attori in scena.
Visto il 29-12-2009
al Sala Uno di Roma (RM)