La Morante ci porta dentro il mondo di Arturo che sta tutto su un’isola, tanto intima da essere per l’appunto “la sua”: L’Isola di Arturo. Diventa nostro ciò che ci è prossimo e ciò da cui non riusciamo a sfuggire. Come un destino appunto. Lo spazio di un 'isola è chiuso, misurabile, ripercorribile. Atto al ricordo. Fuori c’è altro, il mondo tutto intero. Il Barone Rampante con questa produzione inaugurale del Festival di Borgio Verezzi ha seguito con coerenza il suo percorso: ha cercato tra le parole più alte della narrazione il momento magico e irripetibile che è la pubertà, dove i sentimenti si dischiudono e sperano di annullare i confini. Ha portato in scena Arturo: si racconta. La sua isola diventa metafora.
Un attore giovanissimo Luca Terracciano, solo, lui è: Arturo. E’ materialmente il suo Io narrante. E ci dice di sé, dell’Isola. Stretto in un cerchio di luce che rifascia particolari. Accade negli spazi angusti o nella prigione del tempo che i ricordi s’illuminino a tratti. Così è nelle nostre prigionie di vite e di memorie.
Maximillian Nisi regista di questo difficile dialogo interiore ci porge un Arturo che aspetta. È vivo, è solo. È scritto. Un ragazzo in inquieta attesa del ritorno agognato di un padre che va e viene. In attesa di promesse tra cui si rivelino, forse, i segni dell’amore. Ma l’attesa più desiderata è: diventare grande, per partire con il genitore. Gliel'ha promesso. Come nasce dalla madre morta di parto così andrà via senza che il padre mantenga la promessa. Come bagaglio: l’idea di ciò che da solo ha imparato nella sua piccola e limitata terra. Se ne andrà per una cosa grande, la guerra. Sono i passi obbligati di un destino, di una storia, che lo fanno marciare oltre l'unico circolare confine conosciuto. L’isola resterà il suo esclusivo centro di crescita, di comprensione, di interpretazione del mondo.
Tutti abbiamo un’isola. Tutti in un modo o nell’altro siamo Arturo, abbiamo capito quello che abbiamo potuto, abbiamo lottato con il nostro corpo che cresce dentro l’universo.
Cos’è un testo teatrale? E cosa non lo è? Preferirei dalla mia “isola interpretativa” dire: a cosa è proibito essere teatro? Vediamo: è proibito essere teatro a volte il più acclamato teatro, quando gli interpreti entrano in un ruolo e copiano sera dopo sera quel disegno con la pratica all’abilità.
Ma quando un ragazzo-attore poco più che ventenne traduce ogni parola, attesa, ricordo in sensazioni in trasfigurazioni, quando riesce con il corpo e la voce a fare vedere isola, porto, padre, paura, forza, disgusto, dubbio e tutto esce dai suoi occhi attraverso un Arturo che si racconta, che si scrive, o vive la tragicità di “essere scritto”, il gioco si fa serio. Lui è Arturo, lui è la memoria di chi l’ha incontrato, lui è il personaggio fedele al sentire di chi l’ha immaginato. Lui c’è e sa di non esserci ed è straordinario che il suo corpo lo comunichi con una varietà di ritmi traduttori della sana disperazione di essere al mondo, di sentirsi crescere dentro destini che fanno, disfano e stanno soli in alto mare, che siano reali o scritti.
In questa rappresentazione grazie alla sensibilità di un giovanissimo attore e alla capacità di scovare, estrarre, afferrare e fissare i segni del sentire da parte di Maximilian Nisi costruttore di emozioni raffinatissime e tagli di luce ma anche di ombra, lo spettatore si trova in una nuova posizione. Direi inusuale. Non assiste, non partecipa, non si compiace, non s’immedesima.
Fa una cosa rara: lo spettatore sta leggendo e non lo sa. Prova quel piacere tutto personale e intimo che riguarda il rapporto tra la lettura e la propria mente. Nisi - Terracciano stanno rendendo la narrazione tridimensionale al cuore. Sono lì in fragilità di vita e di personaggio. Persino nel dubbio che una storia inventata sia dettata da tutti gli Arturo del mondo traducendosi in parola scritta da una grandissima scrittrice. Che quando è così una storia diventa universale, prossima a dischiudere il mistero del vivere e la sua coscienza.
Credo di potere affermare che questo spettacolo apre una nuova corrente teatrale: non è teatro di narrazione, no. Non di parola. Lo spettatore viene portato nel romanzo con il piacere proprio e unico dell’atto intimo di leggere. Ma lo fa nel silenzio intenso di una sala teatrale dove gomito a gomito ognuno beve parole dalla propria immaginifica solitudine.
E’ uno spettacolo da non perdere, ci riporta tante cose come una risacca. Chiamerei questo nuovo genere: " il teatro della ParolaVista ". Le ParoleViste si porgono con queste Memorie di un fanciullo, ma potrebbero avere un loro percorso, prendere forma con altri testi in futuro. Arturo ci fa lettori intimi –svelati per un’ora tra le emozioni scritte dalla Morante. Grandi applausi, commenti stupendi di facce fuori Teatro ancora dentro l’incanto. Una sorta di rinascita della forza espressiva dell’interiorità teatrale libera dalle mode e dai botteghini; quasi che il pressapochismo, la ridda di eventi, la corsa a diventare noti, la crisi insomma di denaro e di sentimento, di valori e di forza interiore, si fossero fermati fuori la porta del Gassman.
Consiglio questo bagno di sensazioni pure come spettacolo, come grande omaggio alla letteratura, come percorso personale di un’ora.
Repliche previste:
11 Agosto Chiostri di S.Caterina di Final Borgo
12-13 Agosto Cinema Teatro Gassman di Borgio Verezzi