LE NOTTI BIANCHE

Un Dostoevskij semplificato

Un Dostoevskij semplificato
Giuseppe Amato porta in scena una riduzione personale e intensa de Le notti bianche di Dostevskij. Approfittando dello sviluppo dialogico del racconto si affida al testo originale per raccontare dell'incontro di due anime sole, quella del giovane sognatore che parla in prima persona e della giovane Nàst'enka. Lui che non ha mai conosciuto donna se ne innamora subito. Lei attende l'innamorato ritornato dopo un anno di lontananza, invano. E proprio quando lei si convince di provare amore per lui ecco che l'innamorato si fa vivo... Nell'arco di quattro notti (i due giovani si incontrano la sera, nel mese di Maggio, quando a Pietroburgo fa buio dopo le dieci di sera) Dostoevskij dipana una storia apparentemente semplice, in realtà tessuta di trame complesse, nella quale confronta la boriosa fantasia di un giovane inetto e la niente affatto ingenua determinatezza della giovane Nàst'enka. Amato attinge a piene mani da questa storia semplificando alcuni rimandi del racconto (l'estrazione sociale dei due protagonisti che non vivono certo nel lusso ma hanno entrambi la domestica e leggono correntemente dal francese) e sacrificando i commenti che sostengono la storia con notazioni sottili dalle quali emerge meglio il carattere dell'io narrante. Amato invece sceglie di non usare queste note tranne nell'incipit e all'inizio della quarta notte, portando sulla scena solamente l'azione diretta dei due protagonisti una scelta di immediatezza che si nega la possibilità di andare tra le righe del discorso. Per sopperire in qualche modo a questa mancanza Amato inserisce tra una notte e l'altra, dei quadri inquietanti (ma anche criptici) che vedono in scena di un fauno fantasmatico, mitologico, con la testa di capro, muoversi con movenze animalesche, dando prima le spalle al pubblico, offrendo poi il fianco, mostrando la testa all'improvviso con un notevole effetto scenico. Sarà a questa presenza, nel finale, che il giovane si consegnerà, dopo essersi spogliato, in riva al fiume. Il senso di questa giustapposizione si legge nelle note di regia dove Amato, che interpreta anche il giovane co-protagonista della storia, che spiegano come il giovane protagonista de Le Notti Bianche sia immerso in un mondo tra realtà e sogno, tra il regno fantastico e il cupo mondo, tuttavia questa terra delle nebbie è sì felice, ma contiene anche un bruciante veleno. Un incontro con il mondo reale, fuori dai sogni a occhi aperti che il giovane confida di fare a Nàst'enka, che nel racconto dà al giovane una malinconica consapevolezza Mio Dio! Un intero attimo di felicità. E' forse poco, fosse anch'esso il solo in tutta la vita di un uomo? mentre nella riduzione di Amato lo condanna a perdersi nell'irrazionale e, forse, nella morte. Una visione inquietante non priva di un certo fascino. I due interpreti sono convincenti, anche se Amato dopo la bravura con cui all'inizio riesce a restituire con la sola postura e le espressioni del viso i sentimenti contrari che percorrono il suo personaggio non riesce a condurlo da nessuna parte, lasciandone invariata l'interpretazione, mentre Chiara Benedetti ha un ruolo più semplice da restituire, le intenzioni e la psicologia della ragazza sono chiare e prive di quell'ambiguità che invece permea il personaggio maschile e che Amato piega verso l'irrazionale. Un po' schematica la regia che divide il palco in due zone, con l'ausilio delle luci alternatamente usate, con uno schema che si ripete. Le notti bianche ha il pregio di portare sulla scena uno dei classici della letteratura russa (uno degli scopi della Associazione che lo ha prodotto, la Aria Teatro) con una veste godibile e che farà sicuramente presa sul pubblico, ma ha, al contempo, il difetto di sceverare dal testo originale solo la parte dialogica del racconto lasciando i commenti dell'io narrante fuori dall'impianto drammaturgico. Ne deriva così un teatro troppo sbilanciato sul racconto diretto e troppo poco sulla riflessione, come se il teatro fosse solo racconto diretto, fiction, e non anche riflessione, fatta col pubblico, con l'ausilio dalla messa in scena, dalla regia. Amato preferisce incantare il suo spettatore con una storia drammatica e struggente piuttosto che farlo pensare durante la rappresentazione e questo per quanto romantico mette un po' in forse la vera ragione di questa riduzione teatrale. Le recensioni, non a caso, si concentrano sulla storia e poco sulla regia o sulla riduzione del testo, come se la trama fosse di Amato e non di Dostoevskij. Allora, viene da chiedersi, perchè andarlo a vedere a teatro invece di leggere l'originale letterario?
Visto il 20-03-2010
al Manhattan di Roma (RM)