Lirica
LE NOZZE DI FIGARO

Genova, teatro Carlo Felice, …

Genova, teatro Carlo Felice, …
Genova, teatro Carlo Felice, “Nozze di Figaro” di Wolfgang Amadeus Mozart IL DIRITTO AD ESSERE FELICI Nozze di Figaro con la regia di Robert Carsen è splendido, tradizionale ma innovativo, intelligente ma non elitario, comunicativo e raffinato, molto, molto divertente. L’azione è spostata al giorno d’oggi, ma senza traumi, in modo morbido e naturale. La scenografia di Charles Edwards è piacevole, nel suo essere spoglia, essenziale ed enorme (i personaggi sembrano piccolissimi). Nei primi tre atti sono ricostruiti tre ambienti della casa del conte. Nel primo due pareti formano un angolo verso la platea; quella di destra è illuminata di azzurro ed ha davanti un manichino con l’abito da sposa di Susanna, quella di sinistra è illuminata di giallo ed ha attrezzi e mucchi di mobili: ordine e disordine, come le vite dei protagonisti, che dietro una perfetta, apparente simmetria, dietro un ordine equilibrato rivelano disordine, l’affannarsi durante una folle giornata alla ricerca della felicità, nel tentativo di contrastare la paura di rimanere soli. Nel secondo il sipario si apre su una grande camera quadrata, la contessa giace abbandonata ai piedi del letto, solo una sedia e una specchiera che riflette un raggio di sole che entra dalla finestra semichiusa, numerose foto del conte tolte alle pareti ed appoggiate a terra; Rosina ne stringe una al petto, addolorata. La lama di luce entra dalla finestra e inonda di giallo la contessa malinconica, si riflette nella specchiera proiettandosi verso il pubblico, sulla parete la luce disegna un’altra finestra quando Susanna spalanca le imposte: luce che, nel volgere delle ore, vira verso i colori del tramonto. Nel terzo lo studio del conte ha la forma di una “v” e un ampio ingresso senza porte sullo sfondo da cui entra luce; poco importa se le contadine sono divenute cameriere, ci sta tutto. Nel ballo alcuni manichini hanno i vestiti per il matrimonio, quello dei conti è settecentesco, i protagonisti si cambiano sulla scena, c’è una fila di luci, un segno che ritroveremo nell’ultimo atto. A sorpresa nel quarto quella adesione al reale e quell’essenzialità diventano sogno metafisico, una parete curva di nuvole scure, il palcoscenico con poca luce è una selva di manichini, la striscia di lucine posata a terra è molto poetica. Il groviglio della vegetazione dovrebbe simboleggiare intrighi ed intrecci, travestimenti, un labirinto di sentimenti e di destini. E allora che cosa di più evocativo dei manichini, archetipi umani, segno di imperfezione, di instabilità, oggetti al tempo stesso del reale e dell’astratto? La dimensione domestica dell’allestimento accentua il senso di follia e di insistente misoginia. Se in Don Giovanni l’assoluto, il sovrannaturale, l’ineluttabile dipingono l’opera di tinte fosche, qui l’amore è visto come entità complessa, nelle sue innumerevoli sfaccettature, perfettamente intuite e mostrate da Carsen: fremito di giovinezza e curiosità adolescenziale per l’altro sesso, eros allo stato puro che sconfina nella malattia autodistruttiva, illuministico disincanto lontano dalla passione romantica, chimerica fedeltà ma anche dedizione assoluta all’amato. Però unico è lo scopo per tutti, la ricerca della felicità, la rivendicazione totalmente illuministica del diritto ad essere felici. Il grande Carsen ha creato ruoli non stereotipati, con una lucida analisi dei caratteri e al tempo stesso ha accentuato il lato del divertimento, sottolineando i momenti che più si prestano alle sue intenzioni. Cherubino indossa le scarpe della contessa e traballa sui tacchi; Figaro scende in platea con le luci accese in sala e saluta il direttore; Marcellina accarezza il materasso e sogna il corpo di Figaro; Figaro arrabbiato dà un calcio a un baule e si fa male a un piede; il conte prende un Vivin C ed ha nel cassetto della scrivania Playboy. E tanto altro. Buono il cast. Pietro Spagnoli, che alterna con incredibile capacità Almaviva e Don Giovanni, è un conte sornione e fintamente indifferente, formalmente ingessato nel proprio ruolo, sotto sotto marpione; con gesti misurati ed eleganti tratteggia il conte in modo convincente, la mano che tocca il mento, lo sguardo al cielo, il sopracciglio che si alza. La voce è davvero bella, bene impostata, registri curati e controllati, emissione impeccabile. Dagmar Schellenberger è una contessa di notevole bellezza ed eleganza, ma con la voce debole e un fraseggio poco elegante, risultando distaccata e poco dolente. Serena Gamberoni è una Susanna dai guizzi improvvisi, ottima nel ruolo in cui debuttava: sia nei recitativi che nel canto lirico fornisce una prova perfetta (splendido il duetto con Spagnoli nel terzo atto). Kyle Ketelsen è un Figaro dalla voce bellissima (unica pecca la dizione, che dovrebbe curare di più), ma il colore e la forza unita alla capacità di controllo della voce sono strepitose: perfetto nel sottolineare la sottile ambiguità di Figaro, essendo un baritono con un eccellente registro grave. Da citare con loro il Cherubino di Marina Comparato. L’orchestra del teatro era diretta da Tomas Netopil, che ha fatto alcuni tagli nel terzo e nel quarto atto, tra cui purtroppo la bella aria di Marcellina “Il capro e la capretta”, ma nel complesso una buona direzione e un’ottima risposta del pubblico. FRANCESCO RAPACCIONI Visto a Genova, teatro Carlo Felice, l’11novembre 2005 piesse: solo il Carlo Felice, con i suoi quattro palcoscenici rotanti, poteva mettere in scena in tre giorni consecutivi la trilogia Mozart – Da Ponte, un’occasione unica ed irripetibile per celebrare i 250 anni della nascita del salisburghese, assistendo alla messa in scena delle opere una dopo l’altra. La coraggiosa scommessa è più che vinta, non solo al botteghino. Gli allestimenti sono splendidi, da quello classico di Così fan tutte a quello contemporaneo eppure tradizionale di Nozze di Figaro a quello contemporaneo ma rivoluzionario di Don Giovanni (rimando per ogni commento alle recensioni delle altre due opere, sempre su questo sito). Musicalmente è una festa e l’occasione di fare confronti. I cast ottimi. Mi ripeto: un’occasione unica. Epocale. Irripetibile.
Visto il
al Carlo Felice di Genova (GE)