Potrebbe sembrare un po' datata, questa rilettura de ”Le nozze di Figaro” che il regista Mario Martone presentò nel 2006 a Napoli e che ha girato vari palcoscenici prima di giungere ora al Teatro Filarmonico di Verona. Da allora, in effetti, si son succedute talune soluzioni innovative - vedi il Michieletto veneziano - da farla sembrare figlia d'un altro secolo.
Ma come organismo teatrale è divenuto ormai un classico, ed i classici resistono bene al tempo. Perfetti i meccanismi e le scansioni che la regolano; intatta la vivacità e la limpida naturalezza; centrati tutti i caratteri, indubbiamente ispirati al teatro musicale napoletano. E sempre godibile rimane il sottile humour che la pervade, anche se Raffaele di Florio – cui si deve questa ripresa – ne ha smussato qualche angolo.
Settecento e rococò
Classicissimo e nitido l'impianto architettonico di Sergio Tramonti – una doppia scalea che sale ad un'ampia balconata, un lungo tavolo che poi scompare – e classicissimi pure i fantasiosi costumi settecenteschi di Ursula Patzak; suggestive le coreografie spagnoleggianti di Anna Redi. Non c'è dubbio: siamo proprio nel Castello d'Almaviva, sul consumarsi del Secolo dei Lumi, quando un popolano come Figaro può tener testa all'arrogante padrone. E ben lo rende in scena il giovane basso Riccardo Fassi, interprete vario, vivido, sanguigno e teatralissimo, sorretto da timbro e fiato ragguardevoli. Qui tutto rivela un affiatato gioco di squadra.
Susanna è Hasmik Torosyan: incantevole presenza, calda sensualità, canto assai garbato, ma a tratti pure un tantino compassato. Manca, insomma, un pizzico di briosità. Giustamente autoritario ed arrogante il Conte di Cristian Senn, dal saldo spessore drammatico; per questo perdoniamo qualche piccola défaillance vocale. La Contessa di Francesca Sassu ha una voce di cremosa bellezza, emissione ben controllata ed omogenea; peccato conosca una sola corda - quella della remissiva afflizione - e non l'abbandoni mai.
Raffaella Lupinacci ritaglia un adorabile, spumeggiante Cherubino; Bruno Praticò è un Bartolo pieno di spirito, ma vocalmente inesistente; Francesca Paola Geretto è una valida Marcellina; Bruno Lazzaretti un apprezzabile Basilio; Lara Lagni una simpatica Barbarina. Centrati l'Antonio di Dario Giorgelé e il Don Curzio di Paolo Antognetti.
Direzione soft e musicalissima
Circola tanta ariosità ed un certo indugio contemplativo nella concertazione del giovane direttore romano Sesto Quatrini. Altri amano visualizzare musicalmente il turbine della “folle journée”, lui preferisce lavorare in punta di bacchetta, senza tensioni, perseguendo un equilibrio apollineo.
E quindi eccolo portare l'orchestra areniana ad un'inaspettata leggerezza, staccare tempi ragionevoli, creare linee musicali immacolate, rendere in trasparenza tutta la partitura differenziando timbri e colori strumentali. Pronto sempre a sostenere il canto con un'attenzione meticolosa eppur leggera, ricamando sotto ogni aria preziosi arabeschi strumentali.