Lo spaccato di un grande palazzo a tre piani di gusto vittoriano, simile ad un'enorme casa di bambole: questa la sorprendente scenografia dal sapore british evocata da Jens Kilian ed Eva-Maria van Acker per Le nozze di Figaro andate in scena all'Opera di Lipsia ed ora presentate a Bolzano. L'atmosfera generale richiama in qualche modo quella della celebre serie TV Dowtown Abbey tanto che, in virtù dei dettagliati costumi di Falk Bauer, ti aspetti che l'indaffarata servitù in livrea sia a disposizione del compassato Lord di Grantham, e non del sanguigno Conte di Almaviva. Il quale, infatti, ad un certo punto si presenta abbigliato da giocatore di polo. E poi, alla fine bastano una fontanella zampillante e qualche siepe ben cimata, per consegnare allo spettatore un giardino all'inglese in miniatura.
Spettacolo agile e gradevole
Accattivante e funzionale la scenografia, svelta e divertente – e ricca pure di piacevoli dettagli - la regia di Gil Mehmert, svolta sul filo d'una gustosa ironia. Di certo, molto ha contato nella piena riuscita di questo spettacolo la bravura di tutti gli interpreti, immersi dal regista tedesco in uno rapido e spontaneo gioco di squadra. Sejong Chang è un Figaro caustico ed incisivo; Olena Tokar una vaporosa e scaltra Susanna; Mathias Hausmann un Conte virile e caparbio, dal canto nitido e preciso; ed una bella vena di melanconica dolcezza scopriamo nella luminosa Contessa di Gal James. E per continuare: la bravissima Wallis Giunta è un ardente ed irrequieto Cherubino armato di chitarra elettrica; Magdalena Hinterdobler una vezzosa Barbarina; Randall Jakobsh un solido Bartolo; Patrick Vogel un buon Curzio; Marco Camastra – unico italiano del cast - un ottimo Antonio. Unici punti deboli sono la modestia vocale di Karin Lovelius (Marcellina) e Dan Karlström (Basilio). Ineccepibili gli interventi del Coro Haydn, curato da Luigi Azzolini.
Una direzione “all'inglese”
Curiosamente, anche la bacchetta del giovane Enrico Calesso è a suo modo molto british. Vuoi poiché è una direzione dalle delicate tinte pastello, attentissima al più minimo particolare, incline alla massima bellezza del suono; vuoi poiché si mostra meticolosa e calibratissima, sempre impegnata a conseguire un apollineo equilibrio tra le sezioni vocali e strumentali, e tra i singoli episodi della partitura. Il risultato complessivo è che su gran parte dell'opera aleggia un'atmosfera di estatica ed incantata liricità - vedi come risultano celestiali l'introduzione e l'accompagnamento a «Porgi amor» - mentre altrove, quando serve un altro registro, finiscono per scarseggiare impeto, estro e fantasia. Così finisce in secondo piano l'espressiva teatralità del capolavoro mozartiano, la cui schiettezza e giocosità risultano in qualche misura appiattite.
(Foto Kirsten Nijhof)