Lirica
LE NOZZE DI FIGARO

Nozze all'insegna della buona tradizione

Nozze all'insegna della buona tradizione

Il nuovo allestimento delle Nozze di Figaro ideato da Elena Barbalich per il Regio di Torino è una produzione tradizionale nel miglior senso del termine: rispetta l’ambientazione settecentesca e rende leggibile l’intrigo e le dinamiche psicologiche che sottendono  la vicenda; inoltre l’impatto visivo di scene, luci e costumi è particolarmente riuscito in un giusto mix di semplicità ed eleganza e si percepisce fin dall’inizio come il  pubblico, peraltro numerosissimo nonostante le ben undici repliche, gradisca tale impostazione.

Lo scenografo e costumista Tommaso Lagattola crea un palazzo dai volumi importanti, declinati nei toni del tortora e di azzurri cinerei, i cui spazi, grazie allo scorrere di pannelli, pareti, scale e colonne, vengono ridisegnati sotto i nostri occhi, avendo l’impressione di vagare anche noi per i meandri di un affascinante palazzo nobiliare con occhi indiscreti. Nonostante il decoro sia  ridotto al minimo (un tavolo, alcune sedie e poltrone), lo spazio si modula a perfezione sul fluire della vicenda e tutto diventa chiaro e riconoscibile; inoltre gli ambienti semivuoti  favoriscono la focalizzazione sulla girandola sentimentale che avviluppa i personaggi. Bastano pochi tocchi per animare il sottoscala adibito alla servitù dove vengono a giocare volentieri i bambini a nascondino, mentre camerieri in livrea portano i mobili ai piani alti. E cogliamo istantanee di un vissuto (e forse il dolore di un amore finito) nell’immagine ricorrente del Conte e della Contessa seduti da soli a tavola in un confronto muto. Le luci di Giuseppe Ruggiero scandiscano le ore della folle giornata nel trascolorare dalle luminose tinte mattutine che avvolgono i personaggi in un’aura luminosa, all’avanzare della sera quando vengono accese le candele di un enorme lampadario che verrà spento a vista per il notturno finale.
Il quarto atto ha prospettive più ampie, la scena si apre fino a mostrare il cielo e, oltre un velatino opaco e oleoso, s’intravede uno scalone su cui sono disposti i camerieri con le torce accese. Il velatino funge in parte da specchio e favorisce il complicato movimento scenico in cui i personaggi si travestono, scompaiono e  riappaiono in una riuscita fantasmagoria. La regia integra il plot principale con controscene che aumentano la verosimiglianza dell’intrigo principale: i figli della Contessa rendono tangibile come Rosina sia diventata madre oltre che adulta, come pure interessanti sono le figure mute dei servitori impegnati nelle loro attività quotidiane che scandiscono un tempo routinario e “oggettivo” che si oppone a quello straordinario e “soggettivo” che travolge i protagonisti.

L’impostazione registica, ma ancor di più la direzione musicale, nel privilegiare l’introspezione psicologica dei personaggi (in particolare della Contessa) non sempre sfrutta il meccanismo perfetto del plot e del  fulminante libretto e in alcune situazioni  avremmo voluto più guizzi e accelerazione (quando il Conte scopre Cherubino nella stanza di  Susanna l’effetto sorpresa è attenuato). Infatti la direzione di Yutaka Sado stacca a partire dall’ouverture dei tempi decisamente dilatati, che, se da una parte favoriscono il cesellare del canto nei momenti più lirici e introspettivi (le arie della Contessa e quella di Susanna), penalizzano la variazione dinamica (come in “Se vuol ballare signor Contino”) e il chiaroscuro (“Hai già vinta la causa” del Conte). Inoltre alcuni scambi anziché essere al vetriolo (il battibecco fra Susanna e Marcellina) risultano edulcorati e il duettino “Sull’aria” risulta troppo focalizzato sulla Contessa. La direzione ha comunque il pregio di creare un ordito musicale equilibrato in cui le voci s'inseriscono armonicamente senza prevalere le une sulle altre. Precisa la prova dell’Orchestra del Regio come pure quella del Coro preparato da Claudio Fenoglio.

Tutte ottime le voci per emissione e dizione, più riusciti i ruoli femminili sul piano interpretativo. Su tutti la Contessa di Carmela Remigio che col gesto, lo sguardo, il fraseggio, scandaglia la disillusione di un’anima amante non più amata; in alcuni momenti la linea di confine fra i sentimenti che prova o finge (come dopo la scena di gelosia del marito) è labile e ci piace per questo, come  il perdono finale dal retrogusto amaro; il canto è sempre luminoso e controllatissimo, screziato di bruniture crepuscolari che valorizzano i tratti drammatici e malinconici di un personaggio qui protagonista. Vito Priante ha voce morbida e di bel timbro ma per il Conte non basta: il personaggio manca di un carattere forte e sembra essere più spettatore che attore. Mirco Palazzi convince per la voce omogenea e sicura, per Figaro vorremmo forse una vocalità più piena e trascinante ma il personaggio in definitiva funziona. Ekaterina Bakanova canta molto bene e la voce fresca e luminosa è decisamente adatta a Susanna. Molto delicato il Cherubino di Paola Gardina per la voce sopranile leggera, sempre sfumata e vibrante e per la recitazione in giusto equilibrio fra gioco e turbamento. Bene anche la Barbarina di Arianna Vendittelli per la voce piena screziata di sensualità. Incisiva e sempre a fuoco la Marcellina di Alexandra Zarbala. Corretto il Bartolo di Abramo Rosalen, non particolarmente caratterizzato il Basilio di Bruno Lazzeretti, Matteo Peirone è un Antonio caratterista come da tradizione.

Un pubblico visibilmente soddisfatto  ha tributato calorosi applausi per tutti alla fine.

Visto il
al Regio di Torino (TO)