Attesa e consensi al botteghino per le Nozze di Figaro, commissionate in occasione del 225° anniversario della scomparsa di Mozart, che avrebbero dovuto mandare in deposito l'allestimento storico di Strehler, portando in Italia per la prima volta il giovane Frederic Wake-Walker, il quale basa lo spettacolo sulla finzione teatrale: durante l'ouverture le scene vengono montate a vista sul palcoscenico vuoto e Figaro, da cui prende il via l'azione, è chiaramente un cantante impegnato a impersonare un ruolo. Il regista riempie lo spettacolo di gags che risultano inutili e poco divertenti: un anzianissimo suggeritore sempre seduto in proscenio intento a seguire il libretto e a ricordare le battute al Conte che dimentica i recitativi, innumerevoli segretarie dalla pettinatura “alla Simpson” che si muovono con passetti veloci e cortissimi e producono a vista rumori quali schiaffi o serrature, sedie che si rompono, l'insistere su ampi gesti che sottolineano il libretto assolutamente inutili.
Nell'idea di Wake-Walker non c'è lotta di classe né rivendicazione sociale (neppure accennate), non c'è l'ambiguità dell'amore né la tenerezza dei sentimenti, non c'è la forza della passione né la tenacia del matrimonio, non c'è la riposante tranquillità del quotidiano né il fremito del tradimento. Nulla di quell'analisi dei sentimenti così sorprendente e attuale compiuta da Mozart e Da Ponte. In una dimensione metateatrale troppo insistita (al punto che, dopo il secondo atto e gli inchini al pubblico, molti pensano che l'opera sia finita), si fatica a comprendere il senso ultimo di quel gioco del teatro nel teatro che nulla aggiunge alla commedia ma che rende le scene corali confuse (ad esempio il finale del secondo atto) e quelle coi protagonisti prive di pathos e di capacità di raccontare il plot.
Le scene di Antony McDonald giocano con la trasformazione a vista dello spazio calcando la mano sull'artificiosità. I costumi settecenteschi e sontuosi, dello stesso McDonald, hanno qualche tocco contemporaneo, peraltro come la scenografia. Le luci di Fabiana Piccioli contribuiscono a dare corpo e volume allo spazio.
La direzione orchestrale non brilla e resta fredda: Franz Welser-Most sceglie tempi lenti e ottiene un suono pesante e privo della luminosità, della leggerezza e della freschezza mozartiane, a tratti forte dal punto di vista del volume a discapito delle voci. L'Orchestra segue il direttore pedissequamente e appare opaca e uniforme. L'apporto del basso continuo è realizzato da James Vaughan al fortepiano e Simone Groppo al violoncello.
Simon Keenlyside è un Conte aristocratico e altero e si conferma ancora come uno dei migliori nel ruolo: la voce è ampia e ben sostenuta, sempre espressiva e in grado di trovare nuove nuances nelle pieghe della partitura, affrontata con una dizione perfetta. Diana Damrau canta molto bene: qui è una Contessa che pare poco convinta del ruolo ma si fa apprezzare in Dove sono i bei momenti dopo un recitativo dai toni un po' troppo furiosi e arrabbiati. Markus Werba ha la vivacità e la presenza scenica ideali per Figaro, uniti a voce musicalissima e morbida e accenti da grande attore di prosa, perfettamente abbinato a Golda Schultz, Susanna frizzante e sbarazzina (assai bella l'immagine di lei che canta nel quarto atto dentro il lampadario di cristallo, inondata di luce giallastra). Meno in evidenza il Cherubino di Marianne Crebassa pur nella voce perfettamente ambigua. Anna Maria Chiuri è una credibile e sonora Marcellina, accanto all'adeguato Bartolo di Andrea Concetti (anche Antonio sobrio e dalle braccia tatuate) e all'altissimo e bravo Basilio effeminato di Kresimir Spicer, interprete anche di Don Curzio. Provengono dall'Accademia di Perfezionamento del Teatro alla Scala Theresa Zisser, Francesca Manzo e Kristin Sveinsdottir, tutte molto brave, in particolare la prima. Il Coro della Scala è stato preparato da Bruno Casoni.