Lirica
LE NOZZE DI FIGARO

Nozze tradizionali

Nozze tradizionali

Il cammino interpretativo percorso dal teatro di Mozart negli ultimi trent'anni ha aperto, soprattutto per le opere maggiori ed in particolare per la trilogia con Da Ponte, un vasto orizzonte, sviluppando tematiche e indicazioni in modo ampio e prospettico, evidenziando le modernità dei libretti e degli snodi dei racconti drammaturgici. Il tutto non tanto nell'ottica dell'attualizzazione a tutti i costi, quanto piuttosto per servirsi delle opere per una decifrazione più minuziosa possibile della contemporaneità e della soggettività.

Lo spettacolo di Jonathan Miller è stato creato quasi vent'anni fa per il teatro della Pergola (55° Maggio Musicale), ripreso una decina d'anni dopo al Comunale ed ora rimontato da Gianfranco Ventura. Il regista segue le indicazioni del libretto fin nei minimi particolari, dalla misurazione del pavimento alla cuffietta, dai nastri alle poltrone, ma non riesce a dare quell'impronta di follia e dinamismo che invece la “folle giornata” presuppone. Lo spettacolo scorre via piacevolmente, ma rimane un poco “ovattato” nell'impressione generale, non decollando nella freschezza e spigliatezza.
Molto bella la scenografia di Peter J. Davison, che, avanzando gli atti, si amplia grazie all'arretramento della parete di fondo scena. Non la solita “scatola” rococò, ma un impianto intelligente e dinamico grazie a pochi, sapienti movimenti. La camera di Figaro nel primo atto è limitata, con la parete quasi a ridosso del proscenio; la stanza della Contessa nel secondo atto è un poco più grande in quanto la parete di chiusura (meno scrostata che nel precedente) è un paio di metri indietro. Ancora più ampio il salone del terzo atto, i cui alti finestroni danno su uno spazio aperto e forse porticato. Nel quarto atto siamo in una terrazza affacciata su un giardino più in basso (si vedono le punte di cipressi, immaginiamo una campagna toscana), delimitata da una balaustrata marmorea. Perfette le luci di Jvan Morandi (riprese da Luciano Roticiani) che giocano su toni crepuscolari per gli interni e notturni per l'esterno.
I costumi di Sue Blane, settecenteschi, eleganti ma sobri, giocano su toni terragni, caldi e avvolgenti, con parrucche in stile. Completano la messa in scena le coreografie di Susanna Quaranta che partono da passi di minuetto, a cui si prestano anche i protagonisti. Nel complesso l'impronta è quella dei quadri di Chardin, come il “Donna che sigilla una lettera” che apre il programma di sala.

La direzione di Arild Remmereit, rispetto alla prima ascoltata su Radiotre, ci è parsa maggiormente curata nei tempi, allargati in precedenza, seppure il ritmo non sempre dà la giusta follia e dinamicità alla Giornata di Beaumarchais. Il suono rimane piuttosto pesante e non così ben delineate sono le sottigliezze mozartiane; qualche volta non riesce al meglio il coordinamento tra l'orchestra, i cantanti e il coro preparato da Piero Monti. Molto significativi gli interventi al cembalo di Andrea Severi.

Nel cast hanno primeggiato Pietro Spagnoli e Vito Priante. Spagnoli è, nel Conte, in uno dei suoi ruoli di riferimento per vocalità e bravura attoriale; sorprende, dopo tanti allestimenti a cui abbiamo assistito, la capacità del baritono di cercare e trovare sempre nuovi spunti nel personaggio frequentato da anni e con assiduità, proponendo sottigliezze da grande attore di prosa; in questo caso abbiamo notato una maggiore sicurezza nelle puntature in alto, affrontate con smalto e pienezza di voce, a cui si accompagna la consueta eleganza nello scolpire i versi musicali. Priante ha voce di bel colore, morbida ed estesa: il suo Figaro ha tratti attoriali interessanti che colpiscono il pubblico per prontezza ed arguzia. Olga Peretyatko è una Susanna fresca e spigliata, ideale vicino a tale Figaro, molto intelligente e con buona tecnica vocale che la portano a trionfare nell'aria del quarto atto. La Contessa elegante e di grande charme di Rachel Harnisch usciva da un periodo di malattia, che l'ha costretta ad annullare la prima; il soprano ha affrontato il ruolo con le dovute cautele, non forzando nel secondo atto ma arrivando al “Dove sono i bei momenti” in modo ottimale, rendendo l'aria con eleganza e struggimento e commuovendo il pubblico; la Contessa viene presentata in due occasioni insieme alla figlioletta, con ciò connotandola anagraficamente in modo preciso: più matura di Susanna ma non ancora troppo matura al punto da avere raggiunto l'indifferenza in amore. Non tiene il passo con i quattro protagonisti sopra citati Ruxandra Barac, il cui Cherubino è vocalmente meno riuscito. Ben delineati i caratteri dei ruoli di contorno, affrontati con le giuste voci: Laura Cherici è una spiritosa Macellina (seppure privata della sua aria), Umberto Chiummo è un agée Bartolo, Antonio Feltracco un balbuziente Don Curzio; con loro sono adeguati Gianluca Floris (Basilio), Paola Leggeri (Barbarina), Giuseppe Di Paola (Antonio), Sarina Rausa e Nadia Sturlese (due contadine).

Teatro tutto esaurito per tutte le recite, diverse persone a caccia di biglietti; molti applausi sia durante che alla fine della rappresentazione a confermare la piena soddisfazione del pubblico.

Visto il
al Maggio Musicale Fiorentino di Firenze (FI)