Roma, teatro dell’Opera, “Le nozze di Figaro” di Wolfgang Amadeus Mozart
LA PAURA DI RESTARE SOLI
È possibile essere davvero felici? Questo mi sono chiesto durante la rappresentazione del Mozart al Costanzi, un Mozart crepuscolare, malinconico, autunnale, con i personaggi alla ricerca affannosa di una felicità che appare più come una speranza checoviana che come qualcosa di concretamente realizzabile.
Il pericoloso messaggio politico contenuto nella commedia di Beaumarchais (un nobiluomo che perde la competizione con il proprio cameriere), che all’epoca ebbe vita molto travagliata a causa della censura, si stempera nella riscrittura del libretto ad opera di Lorenzo Da Ponte in un magico equilibrio: infatti nel rifacimento dell’impianto narrativo la commedia perde la peculiarità della denuncia politica, ma mantiene il caotico intrecciarsi della vicenda ed i caratteri dei personaggi. I quali sono animati non tanto dal desiderio di seduzione, che è comunque presente, quanto piuttosto dalla paura latente di dover restare soli, di dover trascorrere il resto della vita in assenza della persona amata.
Mozart fa dell’irrequietezza della ricerca una condizione dell’animo, in cui l’amore non è più capriccio ma destino, in cui è ricorrente il ripiegamento nostalgico, in cui si coglie tutta l’incongruenza della natura umana. Ed il nuovo allestimento del teatro dell’Opera di Roma lo rende in modo perfetto. A cominciare dall’impianto scenotecnico di Quirino Conti, un universo chiuso, percorso da una luce calda ed intima. L’architettura è vanvitelliana, neoclassica, di illuministica linearità e rimanda a quell’epoca in cui era dominante la consapevolezza dell’impossibilità del recupero dell’epoca classica, con la conseguente malinconia, già totalmente romantica, che questa certezza inesorabilmente comporta. Sulle pareti dagli attenuati colori pastello, grigio su grigio chiaro, bianco su beige e avorio, le sapienti luci di Vinicio Cheli esaltano le dorature dei capitelli ionici delle alte paraste, disegnano ombre allungate, pennellate di un lunghissimo ma inevitabile tramonto: il sole penetra dalle ampie finestre, riscaldando gli animi e infondendo coraggio. La luce tenue e limpida sembra naturale ma accende di riflessi quasi innaturali il palcoscenico, a sottolineare le vicende di questa “giornata folle” (come recita il sottotitolo), una vicenda intima ed universale al tempo stesso. Intonati i costumi, sempre di Conti, che connotano l’atmosfera domestica dei primi due atti e quella più ufficiale degli altri due, costumi essenziali che perfettamente definiscono i ruoli già al primo colpo d’occhio e lasciano a vaghi, raffinati accenni (come la mantiglia nera di pizzo in capo a Marcellina) l’ambientazione della vicenda. L’essenzialità è anche nei colori, nero per Bartolo, don Basilio e Marcellina, bianco per Rosina e il Conte, bianco-celeste per Susanna, Figaro e Cherubino.
La direzione di Gelmetti è in sintonia perfetta con la regia, rigorosa nella fedeltà al testo mozartiano, capace di rispettare i tempi nei momenti allegri e buffi (senza allargarli, com’era di moda fino a pochi anni fa) ma anche di farsi improvvisamente tragica. L’orchestra sostiene il ritmo incessante, con la sua frenesia e l’inesorabilità del divenire. Le sonorità risultano impalpabili, leggere, delicate e trasparenti e al contempo velate di malinconia e di improvvisi smarrimenti. Un vero peccato che dalla mia posizione non sono riuscito quasi mai a udire il fortepiano in accompagno ai recitativi.
Protagonista del travolgente vortice di sentimenti è Figaro, popolano e servitore di grande ingegno e spirito di intraprendenza, critico e sincero, allegro e dinamico, disponibile e solidale, cinico a parole ma sensibile nei fatti, incarnato perfettamente da Alex Esposito, la cui vitalità dà credibilità al personaggio. Il giovane tenore ha una voce perfetta per timbro e colore per il tipo di repertorio e al tempo stesso riesce ad emetterla talvolta con toni bruniti che danno spessore al personaggio; è padrone della voce sia nei recitativi (dove lui e la Chierici sono i migliori) che nelle arie. “Non più andrai farfallone amoroso” è cantata con sicurezza (dopo una iniziale incertezza) e partecipazione e buona emissione vocale, rivolta a Cherubino in partenza con l’esercito, ma forse, inconsciamente, anche al Conte, che è in perenne ricerca di avventure sentimentali extramatrimoniali, anche con Susanna ormai ad un passo dall’altare. Molto divertente che, nel cantare l’aria, Figaro muove i fili di un pupo siciliano con le fattezze di Cherubino, poi mette seduto in poltrona il pupo e scherza con Cherubino in carne ed ossa, facendogli muovere le braccia come se fosse un burattino con i fili.
Susanna è la brava Laura Cherici, con la sua riconoscibilissima voce dal potente registro centrale e la grande verve comica: è lei a muovere tutti i personaggi di una vicenda che alla fine, in concreto, ruota intorno a lei. Sicura nella gestualità, la Cherici mostra un carattere furbo e concreto, deciso ed imperioso anche solo con un movimento delle braccia o delle mani, oppure con un leggero cenno del capo: alla bella voce accompagna dunque una capacità attoriale rara. E se all’inizio è più che altro spettatrice degli eventi, poi diventa protagonista degli imbrogli, fino all’aria con cui si rivela (“Deh, vieni non tardar”, con Figaro nell’ombra, sul leggero pizzicato degli archi, accompagnati dai fiati delicati con il fagotto dominante). Nel primo atto è calibrato il suo duetto con Marcellina “Via resti servita, madama brillante”, in cui il duello vocale tra le due primedonne è accompagnato da spintonamenti, dall’apparente indifferenza di Susanna e dalle aperte provocazioni di Marcellina. Questa è interpretata da Anna Rita Gemmabella, la cui capacità vocali sono esibite con grande padronanza nell’aria “Il capro e la capretta”, in cui riesce a spingere al massimo gli acuti, mantenendo un controllo pressoché perfetto degli altri registri, nonostante i non facili gorgheggi.
Anna Rita Talento è una Rosina altera ed apparentemente distaccata, ma che rivela la sua carica emotiva e le tensioni che la lacerano, rendendola infelice ed insoddisfatta da un amore presente così diverso da come lo aveva immaginato. Nell’aria “Dove sono i bei momenti” la partecipazione sentimentale è intensa e l’ottimo accompagnamento dell’oboe solista la rende struggente. La soprano crea sulla scena un personaggio indimenticabile, improntato ad una capacità di riflessione matura e supportato da una emissione purissima: a prima vista la passione amorosa dei tempi del Barbiere sembra essere sfiorita, ma lei è rimasta fedele all’amato, come solo chi ama veramente può essere, in equilibrio tra tenerezza e malinconia, pericolosamente in bilico tra quello in cui si spera e quello che si ha.
Invece il Conte è affidato al giovanissimo Marco Vinco, bella voce e appropriata gestualità, ma che punta, ovviamente per motivi anagrafici, più all’agitazione che all’arroganza dovuta allo status sociale. Il suo perpetuo movimento inizia come puparo dietro il teatro dei burattini nel primo atto e si conclude con la confusione ingenerata da Susanna e Rosina celate da due domini scambiati.
Insomma una compagnia in cui non ci sono evidenti disomogeneità, dunque ottima nel lavoro di gruppo, con uno splendido risultato attoriale ed un notevole e rarissimo equilibrio espressivo, in cui non posso tralasciare il Don Basilio di Mario Bolognesi, la Barbarina di Laura Malavasi, il Bartolo di Bruno Praticò (bravo nell’aria “La vendetta, oh la vendetta!”) ed il Cherubino di Laura Polverelli, i cui splendidi acuti fanno dimenticare una certa legnosità nella recitazione.
Last, but not at least, Gigi Proietti, la cui regia ha i maggiori meriti di questo spettacolo che funziona in apparenza semplicemente ed in realtà perfettamente, scivolando via con estrema naturalezza. Proietti muove con disinvoltura ogni personaggio, azzecca ogni scena e ogni quadro, non sbaglia un colpo, creando momenti di particolare divertimento e di aperta ironia, esattamente adesi al testo, ma al tempo stesso riuscendo a far filtrare sempre quel sottile senso di malinconia e di paura della solitudine che è il vero motore dell’azione. Insomma un lavoro di cesello fatto su tutti i personaggi (grazie anche alle capacità ricettive ed espressive dei cantanti), un perfetto bilanciamento che rende l’allestimento intelligente e riuscitissimo.
Rientrando a casa, da solo, in macchina sul lungotevere allagato dal temporale del pomeriggio (che aveva fatto ritardare l’orario di inizio della prima) ho pensato che... sì, è possibile essere felici, magari solo per una sera. Nonostante la paura di restare soli. Ma questa è un’altra storia.
Una domanda a..
GIGI PROIETTI: “qual è la caratteristica di questa regia, innovativa o tradizionale?”
“Questa è la settima mia fatica lirica, molti anno dopo un altro Nozze di Figaro a Spoleto. Io mi sento molto vicino a questo spirito e ad una drammaturgia popolare che si rifà agli schemi della commedia di carattere. Mi piace il suo senso astratto della situazione, mi piace la sua leggerezza. Mozart è il mio autore preferito ed ho cercato di rispettarlo il più possibile, senza necessità di stravolgimenti, perché è stato già sconvolgente Mozart quando l’ha scritto”.
GIANLUIGI GELMETTI: “che cosa ha voluto evidenziare nella partitura?”
“Definisco la musica di Mozart come un diamante, una musica straordinaria che cambia completamente a seconda della luce che prende o del punto di vista. Mi sono avvicinato alla partitura con umiltà, dando spazio alla fantasia, ma sostenuta da un profondo rigore e da una disciplina più ferma possibile”.
LAURA CHERICI: “qual è il profilo dominante nel tuo ruolo, che Proietti dice essere uguale a te?”
“Susanna è una ragazza solare che sa mantenere gli equilibri, che sa dove può osare e dove deve essere prudente, mi assomiglia e sento il ruolo molto mio. Il tutto grazie a un grande fuoriclasse come Gigi Proietti che ci ha insegnato tanto.”
ALEX ESPOSITO: “Onore e responsabilità di cantare Figaro…”
“E’ un allestimento tradizionale con personaggi molto adatti a noi cantanti. C’è sempre qualcosa di me nei ruoli che faccio, come in questo Figaro c’è qualcosa di Gelmetti e Proietti. Sono molto soddisfatto del risultato, anche se vivo con grande responsabilità il fatto di cantare il ruolo del titolo per la riapertura dell’Opera dopo la pausa estiva a Caracalla”.
Visto a Roma, teatro dell’Opera, il 22 settembre 2005
FRANCESCO RAPACCIONI
Visto il
al
Teatro dell'Opera
di Roma
(RM)