Prosa
LE NOZZE DI FIGARO

San Severino Marche, teatro F…

San Severino Marche, teatro F…
San Severino Marche, teatro Feronia, “Le nozze di Figaro” di Pierre-Augustin Caron de Beaumarchais UNA FOLLE GIORNATA SENZA SATIRA E SENZA MALINCONIA La leggenda vuole che Napoleone vedesse nelle “Nozze di Figaro” la “Rivoluzione francese già in atto” e questa immagine ha lungamente suggestionato la cultura, un'influenza certo accreditata dal commento di Baudelaire a “Les liaisons dangereuses” (il grande romanzo epistolare sulla passione e la perversione erotica) secondo cui “la Rivoluzione francese è stata fatta da voluttuosi. I libri libertini commentano e spiegano la Rivoluzione”. Benedetto Croce ammirava fervidamente il testo di Beaumarchais e ne sottolineava il miracolo della poesia nonostante la propensione alla polemica morale e sociale (tratto ideologico poi stemperato nell'opera di Mozart). Si suppone che siano passati tre anni dalle vicende narrate nel “Barbiere di Siviglia”. Fin qui nulla di censurabile ma, leggendo la prefazione scritta dallo stesso autore, ben si comprende il perchè la commedia, presentata al re Luigi XVI privatamente nel 1781, ne avesse suscitato lo sdegno, tanto che si dovette aspettare il 1784 per vederla in scena, sotto la pressione dell'opinione pubblica e dei letterati che l'avevano letta e ne pretendevano la pubblica rappresentazione. Il testo contiene infatti e anticipa molti temi della Rivoluzione: il risentimento verso la nobiltà e il re, la rabbia verso la presunzione di superiorità dei nobili, dei ricchi e dei fortunati per nascita, l'anelito al riscatto femminile, l'odio per leggi diseguali che comportano diseguaglianza sociale. È evidente come “La folle journée o le mariage de Figaro” fosse accusata di gravissimo attentato alle istituzioni e alla sua rappresentazione pubblica si frapponessero ostacoli di ordine politico, oltre l'ostilità della aristocrazia e della burocrazia statale, che si rispecchiavano in quell'immagine laida messa alla berlina. La sottigliezza dell'autore consente di passare per gradi dalla satira sociale alla satira concentrata su una piccola corte signorile qual è il dominio personale, quasi feudale, dell'Almaviva, fino alla cupa e malinconica atmosfera che regna in un ristretto nucleo famigliare dove la satira sociale si trasforma in analisi morale (molte recenti rappresentazioni dell'opera lo sottolineano: il lungo tramonto autunnale con Gigi Proietti all'Opera di Roma, la tinta chiaroscurale delle foglie cadute con Mario Martone al San Carlo di Napoli, gli spazi enormi e realistici prima di un finale metafisico con Robert Carsen al Carlo Felice di Genova). Invece l'adattamento di Tullio Solenghi e Matteo Tarasco elimina completamente i risvolti politici e sociali e spinge sui toni del farsesco, meramente giocoso, con il solo intento di divertire, riducendo il testo a una trama ben congegnata per poi appesantirlo di un inutile finale didascalico, con il protagonista nelle vesti dell'autore sotto una lama di ghigliottina, presagio dei tempi che saranno. È completamente scomparsa la satira, come anche l'assunto politico: sono rimasti solo stata corna, sesso e desideri fisici. La scelta non appare condivisibile: la soave comicità settecentesca è stata sostituita da quella facile e non penetrante di stampo televisivo, che mette in primo piano il linguaggio dei corpi e l'alzare la voce per sottolineare i passaggi comici. E non funziona. Il lessico è semplificato e giocato sulla combinazione dei dialetti, napoletano e siciliano. Il sapore contemporaneo è troppo leggero e ci si rammarica per le troppe facilonerie, smorfie e ammiccamenti di taglio televisivo per cedere ai gusti del pubblico, che si diverte e ride apertamente. La messa in scena è corretta sul piano tecnico, perfetti sono i tempi comici, il ritmo dei dialoghi è sempre sostenuto: la regia di Matteo Tarasco appare naturale, solo a tratti forzata. Nel registrare che lo spettacolo è andato in scena privo di scenografia, una nota per i ricchi costumi di Andrea Viotti, con le imponenti parrucche di tulle bianco dei nobili. Funziona il cast. Tullio Solenghi è un Figaro privato della capacità di riflessione e di filosofeggiare, che, per età, non è credibile: Marcellina dovrebbe essere ottuagenaria per esserne la madre e Susanna sembra la figlia se non piuttosto la nipotina. Alessandra Schiavoni è una ieratica contessa, il tempo è sospeso quando lei incede (inutile la sua nudità nella vasca da bagno). Silvia Salvatori è una acerba ma furba Susanna. Gianluca Musiu è un Cherubino infoiato con un membro enorme vistosamente eretto nei pantaloni. Roberto Alinghieri è il Conte tossicodipendente e viscido. Sandra Cavalini è una navigata Marcellina, come il veliero che inalbera sulla parrucca. Biagio Forestieri è Antonio, giardiniere napoletano con look da iettatore. Salvatore Rancatore è il giudice corrotto che parla in siciliano. Raffaele Spina è uno sfiatato Basilio. Un cast che però non enuclea lo snodo importante della commedia, “l'illuministica rivendicazione ad essere felici”, come ha proposto Massimo Mila. Visto a San Severino Marche, teatro Feronia, il 23 novembre 2007 Francesco Rapaccioni
Visto il
al Astra di Andria (BA)